giovedì 7 luglio 2016

Laura e la sua Albania

Laura è in Albania insieme a don Stefano, nella piccola Comunità di Gomsiqe.

Insieme ci scrivono mensilmente le notizie della parrocchia. Ci raccontano che maggio è stato un mese di speranza in cui tutta la diocesi e non solo, si è riunita a pregare il rosario, tutte le sere, davanti alla statua di Maria, sotto la finestra del Vescovo, chiedendo il miracolo della guarigione. Il miracolo a noi non sembra esserci stato, ma c’è stato…per lui che è salito al Padre, che è arrivato a Casa.
Laura con un ospite della Casa della Carita' di Laç

Ci raccontano di don Carlo Fantini e Antonio Ferretti, di Mons. Adriano Caprioli, don Filippo, sr. Ines, Paola e Titti che sono arrivati in Albania per condividere con la diocesi di Laç il dolore per la perdita del Vescovo Augustin.

Ma Laura, di ritorno per una brevissima visita in Italia, ci racconta di sé, dell’Albania che sta conoscendo; Di una famiglia che va a visitare per la catechesi battesimale, che abita in un posto bellissimo, che farà battezzare la bimba di due anni. Della loro povertà, dei piedi scalzi e neri, e della loro dignità, della sala degli ospiti dove sono accolti.

In Albania di solito si riserva una stanza, la sala degli ospiti, all’accoglienza degli amici. Una sala curata, a volte staccata dall’abitazione, con un tappeto, il tavolino ed i divani. E’ solitamente vietata ai bambini, deve rimanere linda e ordinata…
Solo se veramente indispensabile si ha accesso al resto della casa. In Albania ci si scopre fratelli piano piano…

Racconta di una ragazza che attende di sposarsi, finiti gli studi. Molte volte padri sono venuti a presentare il loro figlio a suo padre per il matrimonio, ma il suo è un padre “speciale”, che non segue la tradizione, che l’ha aiutata a laurearsi e che ora le permette di cercare lavoro in città prima di sposarsi.

Piccole cose da una terra vicina, piccole scoperte di una cultura vicina ma lontana, piccoli segni di fratellanza che crescono.

lunedì 4 luglio 2016

Vanessa, primi 6 mesi a Nova Redençao

Scrivere, raccontare o inviare foto mi mette in difficoltà per tanti motivi, ma questa volta cercherò di fare un piccolo passo avanti e di spiegare un po’ quello che vivo e sento.
All'inizio non avere un progetto ben definito mi ha creato tanti dubbi e anche un po’ d’ansia: cosa sto facendo qui? Ma Dio ci insegna ad avere pazienza ed è Lui che ci mostra il cammino!
Le mie giornate sono piene e ogni giorno si aggiunge un tassello alla mia missione.


L’idea iniziale era poter aiutare i disabili a scuola; mi sono inserita, ho conosciuto i bambini, le maestre, mi sono fatta conoscere, ma il problema è che i bambini disabili non vanno a scuola!
Nel frattempo ho iniziato ad accompagnare suor Ana nella Pastoral da Criança (è un organismo nazionale composto unicamente da persone volontarie che aiutano le famiglie nella crescita dei bambini da quando sono ancora nella pancia ai 6 anni) che mi ha permesso di conoscere le famiglie dei bambini che frequentano la scuola, ma anche qualche bambino disabil, e a capire bene quale sia la situazione reale qui in paese.

Il lavoro da fare è tanto, ma il primo passo è sensibilizzare le famiglie, spiegare che i loro figli hanno diritti e che non possono o devono essere solo una preoccupazione delle famiglie, ma anche della scuola e dell’intera società.
E così il mio compito è diventato quello di fare da intermediaria tra le famiglie, la scuola, i medici e chiunque sia coinvolto nella vita e nell’educazione di questi bambini.
I primi risultati ci sono già: un bambino di tre anni (probabilmente autistico) ha iniziato un percorso sanitario, in quanto fino ad ora nessun medico ha diagnosticato un qualche tipo di problema;  inoltre da agosto seguirò due bambine che verranno inserite a scuola per poter iniziare un percorso educativo e di socializzazione.

Un’attività a cui partecipo sin da quando sono arrivata è accompagnare Suor Alice nelle diverse comunità rurali; andiamo nelle comunità ogni 15 giorni ed è sempre una grande gioia potersi ritrovare.  Ogni comunità è differente sia per le attività svolte sia per le persone che partecipano: donne e/o bambini che si riuniscono per incontri di catechesi, formazione o cucito. Con le donne si chiacchiera, ci si confronta, si parla delle fatiche e dei problemi di tutti i giorni; ma in realtà la mia vera gioia è quando andiamo nelle comunità dove partecipano molti bambini: giochiamo, chiacchieriamo e con i loro sorrisi rendono la mia vita più bella.

Un pomeriggio eravamo all’esterno della chiesa e i bambini, nascosti dietro una macchina, continuavano a ridere e a spingersi; ma perchè? Volevano abbracciarmi ma si vergognavano! Quel pomeriggio ho ricevuto il regalo più bello: 5 abbracci, 5 baci e il cuore pieno di gioia.
Una sera invece,  mentre aspettavamo che i bambini arrivassero, stavo leggendo il libricino “Historia de um descobridor” che parla di Mario Prandi, fondatore delle Case della carità. E’ arrivato uno di loro, si è seduto al mio lato e ha iniziato ad accompagnarmi nella lettura; è stato uno di quei momenti in cui ho pensato che fosse un segnale, uno di quelli che non si può ignorare e così ho deciso di regalargli il libricino (mi ha poi confessato di averlo letto in un giorno).

E poi c’è il quartiere più povero del paese. Una volta mia zia suora e missionaria qui in Brasile mi disse: “Difficile da spiegare, ma riesci sempre ad affezionarti ai bambini che hanno più bisogno”. Beh ci sono riuscita anche questa volta. Sono due fratellini che mi rendono una persona migliore! Probabilmente sono loro che mi spingono a pregare di più, perché io posso fare ben poco, c’è bisogno di Qualcuno più in alto di me per proteggerli. Un giorno li ho visti guardare i loro amici che giocavano con gli aquiloni; ho comprato del cotone e gliel’ho regalato; la gioia nei loro occhi mentre il loro aquilone fatto con un filo di cotone e un foglio di carta volava, non si può descrivere. Non è facile salutarli e tornare a casa, ma poi prego: prego per loro, perché possano crescere felici e prego per me, perché possa dar loro il mio meglio!!

Mi rendo conto che quello che vi ho scritto è solo l’1% di quello che vivo ogni giorno, mi è stato già fatto notare dai miei amici che racconto poco,  che non entro nei dettagli e che spesso viene fuori solo la parte più divertente di quello che vivo: le uscite con il gruppo giovani della parrocchia, le feste, i compleanni, i ritiri in mezzo alla natura (cercate su internet Chapada Diamantina, forse inizierete a credere che Dio esiste); e anche le foto che pubblico su facebook o che invio su whatsapp rispecchiano tutto ciò. Qualcuno mi ha già chiesto se per caso sono in vacanza!

In realtà ho difficoltà a raccontarvi o mostrarvi la parte più vera di questa mia vita perché non credo sia giusto per i miei bimbi. Partendo dal fatto che è facile fermarsi a contemplare un paesaggio e scattare una foto, o catturare un momento insieme ai proprio amici; difficile è pensare di scattare una foto mentre sono a scuola e tento di insegnare le vocali ad un bambino, o mentre sono seduta per terra a fianco a uno di loro cercando di spiegare il perché non si dovrebbero picchiare i propri amici,  mentre un bambino mi abbraccia, mentre tengo tra le braccia un bimbo di 8 giorni e suo fratello più grande lo guarda con gioia e fierezza, mentre parlo con una nonna che cerca di fuggire di casa e sua figlia e sua nipote non sanno più cosa fare, mentre un bimbo mi racconta che un giorno sua madre verrà a prenderlo e finalmente vivranno insieme, mentre due sorelle giocano dopo non essersi viste per 4 mesi.

Credo che ognuna delle persone che incontro ogni giorno abbia la sua dignità e proprio non capisco il motivo di dover mostrare una loro foto.
Purtroppo noi europei cresciamo in una società che ci mostra immagini di  bambini del “terzo mondo” nudi, magri e con le mosche che gli girano intorno, orgogliosi di chi decide di vivere la propria vita accanto ai più poveri, in dovere di donare un 1 €, forse per sentirci meno in colpa per tutto il cibo che ogni giorno buttiamo nella spazzatura.
Senza parlare di tutte quelle foto di bambini con sorrisoni splendidi, accompagnati dalla solita frase “Non hanno nulla però sorridono”.

La realtà è che essere poveri fa schifo e questi bambini non sono felici: non sanno cosa sia l’amore, il calore di un abbraccio, le attenzioni di un padre o di una madre; non possono ammalarsi perché non ci sono soldi per curarsi; non sempre hanno da mangiare, non di rado a scuola arrivano con lo stomaco vuoto. Provate a studiare o a concentravi con lo stomaco che fa male perché si ha fame!
Perché se hai 9 anni, non c’è nessuno che si prenda cura di te, sono 3 giorni che hai lo stesso pantaloncino perché nessuno lo lava (ovviamente sono anche 3 giorni che non fai una doccia) e un altro bambino ti spruzza dell’acqua addosso dicendoti che sei sporco, tu puoi solo urlargli: “Allora vieni tu a lavarmeli i vestiti!!”.

Ecco, questa è la realtà, la loro vita, le loro sofferenze; e se ho scritto questo non è per  impietosirvi, o  per sentirmi dire: “Vanessa che bella persona che sei, che coraggio che hai”.
No!! Sono qui perché credo che donare la propria vita agli ultimi sia il più bel modo di vivere.
Sto cambiando e me ne rendo conto: amo ogni giorno di più, il mio cuore è sempre più grande perché le persone che ne fanno parte sono sempre di più; ma allo stesso tempo sono sempre più dura con chi ha bisogno di dimostrazioni per credere che la sofferenza umana esista, perchè nessuna mia parola potrà spiegare al meglio quello che tutti i giorni i miei occhi vedono.

Qualche giorno fa una mamma ha bevuto del veleno per topi, voleva morire, il perché lo sanno solo lei e Dio. Io mi siedo accanto a lei e prendo sua figlia più piccola un po’ in braccio, per far riposare un po’ le sue di braccia.
Una persona  (dall’altra parte dell’oceano) mi ha detto di essere la classica missionaria che parla, parla e non fa nulla.  Io però rispondo  che non sono partita per salvare il mondo, per costruire ospedali, case o scuole.

A me basta la gratitudine di uno sguardo, perché un abbraccio e un sorriso possono ridare dignità ad una persona, farle sapere che non è sola, che vale qualcosa, che il mondo non si è dimenticata di lei.
“Siete le prime persone che entrano nella mia casa”!!

Sono frasi come questa che mi fanno credere che probabilmente non sto sbagliando tutto.

Ah questa sono io, felice e grata a Dio per la mia vita!!

Vanessa

Agnese da Ampasimanjeva

“Piove, ma senti come piove, madonna come piove senti come viene giù uh!”

Già, il grande Jovanotti aveva ragione, bisogna proprio sentire bene come cade la pioggia.

Qui ormai sono  tre settimane che piove, il grande freddo sembra essere arrivato con molto anticipo. Di solito, dicono che questa temperatura  è più da Luglio e Agosto mentre a Maggio e Giugno  il clima dovrebbe essere più mite.

In queste settimane ho visto, giusto un poco, la forza della natura, muri d’acqua che cadono per qualche minuto oppure che durano tutta una notte.
In alcuni momenti, quando inizia a piovere oppure a tirare un forte vento, mi sento tornare bambina, mi incanto a guardare l’acqua che scende, come se qualcuno stesse tirando dei secchi dall’alto, altre volte, quando mi  trovo nel letto alla sera e inizia a tirare un fortissimo vento, ho paura che da un momento all’altro possa cadere il grande albero di lecci che ho davanti alla camera… ma per fortuna alla mattina è sempre lì, in ottima forma!

La cosa che più mi sorprende di Ampasimanjeva è che alla mattina, dopo una nottata di vento fortissimo e acqua,  si può percepire un’ aria bella e pulita e mi viene subito in mente la mia bellissima casa in montagna, ma la cosa più sorprendente è  che non c’è traccia di piante cadute o di foglie in terra.
Ma una cosa c’è il giorno dopo: il fango
Mi viene da pensare che se non si hanno i piedi un po’ sporchi a fine giornata vuol dire che non è stata un giornata piena ed esaustiva.
Bisogna stare molto attenti a dove si cammina e a dove si mettono i piedi, perché un passo sbagliato potrebbe essere l’occasione per cadere davanti a tutti e far ridere così i malgasci ma un po’ meno le tue ginocchia.
Al mattino esco dalla veranda per andare dalle suore a fare colazione e, appena arrivo da loro, mi guardo i pantaloni che prima di uscire erano blu e ora sono blu a pois marroni e capisco che questo fango mi accompagnerà per il resto della giornata .
Al mattino mentre vado dai tubercolotici e poi in ospedale mi sembra  di essere un’equilibrista,  devo stare attenta a dove metto i piedi per non lasciare sul terreno il mio didietro, ma poi mi vedo passare affianco bimbi, adulti e vecchi a piedi scalzi che camminano come nulla fosse, come se sotto ai loro piedi ci fosse del cemento.

Dall’ultima lettera ad oggi, sono successe tante cose e tante persone che sono passate da Ampasimajeva.

Fino alla settimana scorsa   in casa dalle suore eravamo in compagnia di tre bambini sopranominati “pupoli”. 
La prima ad essere arrivata è Gracia, una piccola bimba abbandonata alla nascita dalla madre, perché in questa zona del Madagascar i bimbi gemelli sono “fady”, tabù.  Significa che  nel momento in cui la mamma partorisce ne abbandona uno (di solito il più debole, quello che pesa di meno oppure se sono un maschio e una femmina, viene abbandonata la femmina). Le suore  hanno dato già da diversi anni la loro disponibilità per prendersi carico dei neonati abbandonati e nel frattempo cercare una famiglia che se ne prenda carico e per ora ne hanno salvati 200. 
Gracia, nel momento in cui è arrivata  pesava poco più di due chili  e per poterla darle ad una nuova famiglia doveva raggiungere i due chili e mezzo.

Agnese con uno dei bimbi accolti

Nel giro di pochi giorni è arrivato a fargli compagnia Martin, un altro piccolo “pupolo”. Martin al momento della nascita pesava due chili e duecentocinquanta  ma la sua salute non era buona; quindi, fin quando non si stabilizzerà a  livello di salute, non potrà andare in adozione, ma rimarrà qui per essere controllato dai dottori.
Infine dopo l’arrivo di Martin è arrivata Elisa ed era veramente un miracolo che fosse ancora viva.
Elisa è arrivata dalle suore poco dopo Martin, e aveva già un mese di vita.

Sua mamma non aveva partorito in ospedale ma nel suo villaggio e durante il parto è venuta a mancare, così per un mese la nonna di Elisa si è occupata di lei, ma senza dargli le cure necessarie ad una bambina appena nata. Quando è arrivata dalle suore  non si sapeva da quanti giorni non gli dessero da mangiare, aveva il viso tutto scavato e il suo piccolo corpo era solamente ossa e pelle.
Le suore l’hanno subito accolta e le hanno dato da bere latte e the con tanto zucchero, era veramente impressionante con quanta forza e voracità facesse fuori il biberon.

I medici non davano tante possibilità di vita ad Elisa, ma ogni giorno che passava la piccola “pupola” faceva un piccolo ma grande miglioramento.
Elisa è stata quella che richiedeva più energie perché ad ogni ora doveva assolutamente mangiare, e col passare dei giorni aveva impostato una sua sveglia personale e ogni ora, né un minuto in più né un minuto in meno era pronta per mangiare.

Io e la mia compagna di avventure Alba, abbiamo deciso di aiutare durante il giorno le suore con i “pupoli” e anche la notte. Io ho deciso di occuparmi di Elisa.. e diciamo che di notte la sua sveglia biologica migliorava: invece di ogni ora, si svegliava ogni mezz’ora. Si svegliava, si sbaffava il suo latte e poi era pronta per dormire di nuovo. 
Ora Elisa è tornata a casa, con qualche chilo in più e speriamo che la nonna e anche tutto il resto della famiglia si prenda veramente cura di lei. Sono anche sicura che, se è sopravvissuta a così tanti giorni senza mangiare, vuol dire che ha veramente tantissima forza e ne avrà anche per il domani che l’aspetta!

Un po’ di tempo fa, come tutte le mattine, ero dai tubercolotici insieme ad una suora che era venuta a fare una puntura ad un malato. Finito di dare le medicine siamo andate su in ospedale a vedere e fare due chiacchiere con i malati.
Verso la fine mi ha portato in maternità per vedere due piccoli bimbi gemelli nati da pochissime ore e molto  prematuri .
Appena siamo entrate abbiamo trovato i bimbi appoggiati su un tavolo ricoperti di coperte e in mezzo a loro c’erano delle bottiglie di vetro con acqua bollente per tenerli al caldo il più possibile. Li con loro c’era la nonna che cercava di tenerli in vita. Uno dei due aveva il sondino nel naso per fargli arrivare l’ossigeno… mentre eravamo lì,  ad un certo punto un gemellino non ce l’ha fatta ed è venuto a mancare.
Mi ricordo ancora tutta la scena come fosse successo ieri.
Le infermiere che arrivano, mettendo il bimbo morto su un lettino e cercando nel frattempo di tenere in vita l’altro piccolo neonato. Ma anche lui nel primo pomeriggio ha raggiunto il suo fratellino.
Ci sono tante cose che mi hanno colpito in tutto questo. Prima di tutto vedere così da vicino la morte di due bambini appena nati, e non sapere se provare più dolore o dispiacere?
Non so come chiamare questo sentimento per la nonna, che ci stava mettendo tutte le forze per tenerli in vita e vedere i suoi occhi piedi di lacrime, di dolore, per quei suoi nipoti che sapeva benissimo che non ce l’avrebbero fatta.
La cosa che più mi ha turbato è venire a sapere che la madre aveva già avuto tre gravidanze e tutte e tre erano finite in questo modo, e pensare che ci sono persone che abbandonano i propri figli, perché non vogliono tenere due bambini uguali .
…ho il vuoto totale in testa e l’unica domanda che mi viene da farmi è “perché?”, ma non riesco a darmi ancora una risposta. E forse non troverò mai una risposta, ma dovrò solamente farci l’abitudine e sapere accettare.

Una cosa che non manca ad Ampasimanjva sono i bambini.
Sbucano da tutte le parti, e appena ce ne si libera di uno… ne arrivano altri.
Il lunedì, il mercoledì e il venerdì, come ho già scritto nella precedente lettera,  tengo aperta la “pupponiera”, una piccola ludoteca per i bambini dell’ospedale.
Questi mesi passati con i bambini sono stati veramente belli e soddisfacenti.
Faccio fatica a dirvi cosa provo e cosa mi trasmettono perché sono veramente tante le cose…

Prima di tutto, il tempo con loro vola, è inutile dirlo, ma da quando apro la porta della stanza al mattino, mi ritrovo, in pochissimo tempo a richiuderla e a salutare dicendo che ci rivedremo la volta prossima.
Se penso a tutti i bimbi che si sono fermati, anche solo a fare un disegno, sono stati tanti e molti mi sembrano andati via ieri, ma in realtà sono andati via già da uno o due mesi. Mi sono divertita a dare ai bambini dei soprannomi che sono rimasti tra me e me, ad  esempio Scenzia “quella che non tace mai”, Faniry  “ il gentiluomo”, Laria “la furba” , Nadine “la princesse” e così tanti altri, e poi c’è lei Cristanie, una bimba di quattro anni. 
Mi dispiace dirlo, ma è la mia preferita. E’ stato più forte di me e non potete capire quanta fatica faccia a sgridarla quando fa qualcosa che non va fatto, ma credetemi lo fa in un modo talmente buffo e disinvolto che la vorrei solamente riempire di baci.
Mi ricordo ancora quando eravamo a messa e il Don chiese chi facesse la comunione e lei alzando  la mano urlò “IO” e non la voleva tirare giù! E la grinta che ci metteva a cantare i canti durante la messa e infine, quando arrivava il momento della comunione, lei guardandomi e spingendomi mi diceva “dai!! devi andare” .

Come ho già detto prima, molti di loro sono venuti a fare disegni e colorare solamente per una o due volte, mentre i figli dei tubercolotici sono rimasti qui più di un mese. Con loro è stato bello ed è bello tuttora, perché, grazie al tempo che sono rimasti qua, sono riuscita a creare delle piccole relazioni.
Sanno che tutte le mattine vado dai loro genitori a dargli le medicine e quindi mi aspettano lungo le scale e appena mi vedono arrivare è un continuo chiamare “Agnesa!” e poi a turno, ciascuno mi chiede se può aprire la stanza e, dopo averla aperta, tutto il resto della truppa mi aiuta ad aprire le finestre e poi a fare l’operazione inversa una volta finito di dare i medicinali ai loro genitori.
Quando arrivano le cinque, dopo un pomeriggio passato in pupponiera, mi ritrovo a salutare i bambini ad augurar loro una buona serata e fra di loro c’è sempre chi cerca di chiedere se possono venire il giorno dopo anche se sanno che non è il giorno della pupponiera .

Sono contenta di questa stanza per i bambini, perché molte volte mi hanno dimostrato che ci tengono veramente.
Si impegnano ad arrivare puntuali (a volte fin troppo!), a tenere i colori, libri e tutto il materiale con cura. Verso le cinque sono loro stessi che iniziano a pulire e a riordinare la stanza.
Qualcuno di loro mi ha chiesto di insegnarli i numeri e le lettere dell’alfabeto, ho cercato una o due volte di insegnar loro qualcosa: non so cosa abbiano capito e imparato ma è stato bello imparare a fare qualcosa insieme.
In tutto questo c’è il rovescio della medaglia, ovvero quando i genitori dei bimbi sono guariti dalla tubercolosi e quindi possono tornare a casa.
Sono felice per i bimbi e per i genitori stessi che stanno bene e possono tornare a casa dalla loro famiglia nel loro villaggio, ma al tempo stesso so che mi mancheranno, come la piccola Cristanie che domani tornerà a casa.
Una volta al mese devono ritornare qui ad Ampasimanjeva per il controllo e per prendere del riso in base a da quante persone è composta la loro famiglia. 
Ogni mese non vedo l’ora che arrivi il 19 perché è il momento dei controlli e quindi ritornano anche tutti i bimbi anche se è solo per un giorno.

Ormai sono otto mesi che sono qui in Madagascar e a volte ho la sensazione di essere arrivata ieri mentre altre volte mi sembra di essere qui da una vita.
Voglio cercare di godermi questi ultimi mesi che mi rimangono, stando il più possibile con le persone, godendomi questa missione.
L’altro giorno la prima lettura diceva:
 “…La fine di tutte le cose ormai è vicina. Siate dunque moderati e sobri, per dedicarvi alla preghiera. Soprattutto conversate tra di voi una grande carità perché la carità copre una moltitudine di peccati. Praticate l’ospitalità gli uni verso gli altri, senza mormorare. Ciascuno viva seconda la grazia ricevuta, mettendola al servizio degli altri” ( dalla prima lettera di S.Pietro Apostolo)
Questa lettura è arrivata proprio nel momento in cui sto realizzando che manca poco al mio ritorno in Italia,  dicendomi di mettermi al servizio degli altri il più possibile e di essere sobria e caritatevole il più possibile.

Anche se sono qui da vari mesi faccio ancora fatica a superare e a capire molte cose.
Faccio ancora fatica ad andare in città per fare due passi, vedere facce, persone e posti nuovi  senza sentire ad ogni passo dire: “ Vasa” (bianco), oppure comprare qualcosa senza che gli occhi di bambini e adulti mi siano addosso per vedere esattamente cosa compro.
Ogni tanto, quando sono presa dall’esasperazione vorrei prendere della vernice marrone e colorarmi tutta, così da poter andare in giro come una di loro e fare tutto quello che devo fare senza sentire commenti e senza essere trattata in modo diverso.

 Spero tanto di sapermi gustare questi ultimi mesi che rimangono, di saper cogliere tutti i segni e le persone che incontrerò in questo ultimo periodo.

Vi saluto e vi abbraccio tutti! Ci vediamo presto un bacione!!  Agnessss





Manakara, novità dal cantiere della parrocchia Gesù Misericordioso

Ci scrive Don Giovanni Ruozi da Manakara:

Il 26-27 luglio verrà a farci visita mons. Fidelis di Ambositra, che in questi 4 anni non è mai venuto a trovare Odilon, e in quell'occasione faremo... la benedizione della nuova cappella!!!!

La buona notizia è che stiamo terminando i lavori della prima parte della chiesa, cioè la cappella feriale, la sacrestia, l'ufficio del parroco, due stanzoni per catechismo e accoglienza vahiny.



Questa settimana mettono il tetto, poi finiranno le altre cose. Io temo che per quella data ci saranno ancora molte cosette da finire, pero il grosso sarà fatto e quindi grazie a Dio e grazie a voi che ci avete sostenuto.

Scusate se non ho mandato molte foto, poi é partita anche Chiara... però mi organizzerò per mandarvele con la chiesa ultimata.

Saluti a tutti!

Giovanni zandry
L'area dove si sta costruendo la chiesa

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Ricordiamo che il progetto è iniziato nel 2014, con l'acquisto del terreno, ed è ancora in fase di raccolta fondi per terminare “le cosette da finire” della prima parte della chiesa e tutta la seconda parte della costruzione.

Finora sono stati spediti a Manakara 125mila euro, di cui 50mila da parte del Centro Missionario, 50mila offerte da una persona che non vuole essere menzionata e 25mila raccolti da donazioni varie.

Potete versare un contributo sul conto corrente n. 3413 IBAN IT28 A 05034 12800 0000 0000 3413 intestato al Centro Missionario Diocesano con causale “costruzione chiesa” .
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In comunità per prepararsi alla missione

Cristina, Anna e Virginia con le maglie che la Casa della Carità ha regalato loro
Sabato 2 luglio è terminato il mese comunitario che hanno vissuto Cristina, Anna e Virginia, tre aspiranti volontarie che si preparano a partire in autunno per la missione.
Il mese comunitario si è svolto a Fosdondo di Correggio, vicino alla Casa della Carità e ha dato modo alle ragazze di sperimentare la vita comunitaria tra loro continuando a riflettere sulla disponibilità a partire per uno o due anni per la missione.
Per loro è stato un periodo importante anche per conoscere meglio se stesse e le altre.

Un momento della festa
Riportiamo qui alcune foto della festa di saluto che hanno organizzato per ringraziare della bella opportunità che è stata loro offerta.

Ringraziamo il Signore perché mette sempre sulla strada della missione e del servizio persone che hanno voglia di donarsi agli altri facendo un percorso di crescita! 

La frase che ha accompagnato il mese comunitario
To be continued...