lunedì 4 luglio 2016

Agnese da Ampasimanjeva

“Piove, ma senti come piove, madonna come piove senti come viene giù uh!”

Già, il grande Jovanotti aveva ragione, bisogna proprio sentire bene come cade la pioggia.

Qui ormai sono  tre settimane che piove, il grande freddo sembra essere arrivato con molto anticipo. Di solito, dicono che questa temperatura  è più da Luglio e Agosto mentre a Maggio e Giugno  il clima dovrebbe essere più mite.

In queste settimane ho visto, giusto un poco, la forza della natura, muri d’acqua che cadono per qualche minuto oppure che durano tutta una notte.
In alcuni momenti, quando inizia a piovere oppure a tirare un forte vento, mi sento tornare bambina, mi incanto a guardare l’acqua che scende, come se qualcuno stesse tirando dei secchi dall’alto, altre volte, quando mi  trovo nel letto alla sera e inizia a tirare un fortissimo vento, ho paura che da un momento all’altro possa cadere il grande albero di lecci che ho davanti alla camera… ma per fortuna alla mattina è sempre lì, in ottima forma!

La cosa che più mi sorprende di Ampasimanjeva è che alla mattina, dopo una nottata di vento fortissimo e acqua,  si può percepire un’ aria bella e pulita e mi viene subito in mente la mia bellissima casa in montagna, ma la cosa più sorprendente è  che non c’è traccia di piante cadute o di foglie in terra.
Ma una cosa c’è il giorno dopo: il fango
Mi viene da pensare che se non si hanno i piedi un po’ sporchi a fine giornata vuol dire che non è stata un giornata piena ed esaustiva.
Bisogna stare molto attenti a dove si cammina e a dove si mettono i piedi, perché un passo sbagliato potrebbe essere l’occasione per cadere davanti a tutti e far ridere così i malgasci ma un po’ meno le tue ginocchia.
Al mattino esco dalla veranda per andare dalle suore a fare colazione e, appena arrivo da loro, mi guardo i pantaloni che prima di uscire erano blu e ora sono blu a pois marroni e capisco che questo fango mi accompagnerà per il resto della giornata .
Al mattino mentre vado dai tubercolotici e poi in ospedale mi sembra  di essere un’equilibrista,  devo stare attenta a dove metto i piedi per non lasciare sul terreno il mio didietro, ma poi mi vedo passare affianco bimbi, adulti e vecchi a piedi scalzi che camminano come nulla fosse, come se sotto ai loro piedi ci fosse del cemento.

Dall’ultima lettera ad oggi, sono successe tante cose e tante persone che sono passate da Ampasimajeva.

Fino alla settimana scorsa   in casa dalle suore eravamo in compagnia di tre bambini sopranominati “pupoli”. 
La prima ad essere arrivata è Gracia, una piccola bimba abbandonata alla nascita dalla madre, perché in questa zona del Madagascar i bimbi gemelli sono “fady”, tabù.  Significa che  nel momento in cui la mamma partorisce ne abbandona uno (di solito il più debole, quello che pesa di meno oppure se sono un maschio e una femmina, viene abbandonata la femmina). Le suore  hanno dato già da diversi anni la loro disponibilità per prendersi carico dei neonati abbandonati e nel frattempo cercare una famiglia che se ne prenda carico e per ora ne hanno salvati 200. 
Gracia, nel momento in cui è arrivata  pesava poco più di due chili  e per poterla darle ad una nuova famiglia doveva raggiungere i due chili e mezzo.

Agnese con uno dei bimbi accolti

Nel giro di pochi giorni è arrivato a fargli compagnia Martin, un altro piccolo “pupolo”. Martin al momento della nascita pesava due chili e duecentocinquanta  ma la sua salute non era buona; quindi, fin quando non si stabilizzerà a  livello di salute, non potrà andare in adozione, ma rimarrà qui per essere controllato dai dottori.
Infine dopo l’arrivo di Martin è arrivata Elisa ed era veramente un miracolo che fosse ancora viva.
Elisa è arrivata dalle suore poco dopo Martin, e aveva già un mese di vita.

Sua mamma non aveva partorito in ospedale ma nel suo villaggio e durante il parto è venuta a mancare, così per un mese la nonna di Elisa si è occupata di lei, ma senza dargli le cure necessarie ad una bambina appena nata. Quando è arrivata dalle suore  non si sapeva da quanti giorni non gli dessero da mangiare, aveva il viso tutto scavato e il suo piccolo corpo era solamente ossa e pelle.
Le suore l’hanno subito accolta e le hanno dato da bere latte e the con tanto zucchero, era veramente impressionante con quanta forza e voracità facesse fuori il biberon.

I medici non davano tante possibilità di vita ad Elisa, ma ogni giorno che passava la piccola “pupola” faceva un piccolo ma grande miglioramento.
Elisa è stata quella che richiedeva più energie perché ad ogni ora doveva assolutamente mangiare, e col passare dei giorni aveva impostato una sua sveglia personale e ogni ora, né un minuto in più né un minuto in meno era pronta per mangiare.

Io e la mia compagna di avventure Alba, abbiamo deciso di aiutare durante il giorno le suore con i “pupoli” e anche la notte. Io ho deciso di occuparmi di Elisa.. e diciamo che di notte la sua sveglia biologica migliorava: invece di ogni ora, si svegliava ogni mezz’ora. Si svegliava, si sbaffava il suo latte e poi era pronta per dormire di nuovo. 
Ora Elisa è tornata a casa, con qualche chilo in più e speriamo che la nonna e anche tutto il resto della famiglia si prenda veramente cura di lei. Sono anche sicura che, se è sopravvissuta a così tanti giorni senza mangiare, vuol dire che ha veramente tantissima forza e ne avrà anche per il domani che l’aspetta!

Un po’ di tempo fa, come tutte le mattine, ero dai tubercolotici insieme ad una suora che era venuta a fare una puntura ad un malato. Finito di dare le medicine siamo andate su in ospedale a vedere e fare due chiacchiere con i malati.
Verso la fine mi ha portato in maternità per vedere due piccoli bimbi gemelli nati da pochissime ore e molto  prematuri .
Appena siamo entrate abbiamo trovato i bimbi appoggiati su un tavolo ricoperti di coperte e in mezzo a loro c’erano delle bottiglie di vetro con acqua bollente per tenerli al caldo il più possibile. Li con loro c’era la nonna che cercava di tenerli in vita. Uno dei due aveva il sondino nel naso per fargli arrivare l’ossigeno… mentre eravamo lì,  ad un certo punto un gemellino non ce l’ha fatta ed è venuto a mancare.
Mi ricordo ancora tutta la scena come fosse successo ieri.
Le infermiere che arrivano, mettendo il bimbo morto su un lettino e cercando nel frattempo di tenere in vita l’altro piccolo neonato. Ma anche lui nel primo pomeriggio ha raggiunto il suo fratellino.
Ci sono tante cose che mi hanno colpito in tutto questo. Prima di tutto vedere così da vicino la morte di due bambini appena nati, e non sapere se provare più dolore o dispiacere?
Non so come chiamare questo sentimento per la nonna, che ci stava mettendo tutte le forze per tenerli in vita e vedere i suoi occhi piedi di lacrime, di dolore, per quei suoi nipoti che sapeva benissimo che non ce l’avrebbero fatta.
La cosa che più mi ha turbato è venire a sapere che la madre aveva già avuto tre gravidanze e tutte e tre erano finite in questo modo, e pensare che ci sono persone che abbandonano i propri figli, perché non vogliono tenere due bambini uguali .
…ho il vuoto totale in testa e l’unica domanda che mi viene da farmi è “perché?”, ma non riesco a darmi ancora una risposta. E forse non troverò mai una risposta, ma dovrò solamente farci l’abitudine e sapere accettare.

Una cosa che non manca ad Ampasimanjva sono i bambini.
Sbucano da tutte le parti, e appena ce ne si libera di uno… ne arrivano altri.
Il lunedì, il mercoledì e il venerdì, come ho già scritto nella precedente lettera,  tengo aperta la “pupponiera”, una piccola ludoteca per i bambini dell’ospedale.
Questi mesi passati con i bambini sono stati veramente belli e soddisfacenti.
Faccio fatica a dirvi cosa provo e cosa mi trasmettono perché sono veramente tante le cose…

Prima di tutto, il tempo con loro vola, è inutile dirlo, ma da quando apro la porta della stanza al mattino, mi ritrovo, in pochissimo tempo a richiuderla e a salutare dicendo che ci rivedremo la volta prossima.
Se penso a tutti i bimbi che si sono fermati, anche solo a fare un disegno, sono stati tanti e molti mi sembrano andati via ieri, ma in realtà sono andati via già da uno o due mesi. Mi sono divertita a dare ai bambini dei soprannomi che sono rimasti tra me e me, ad  esempio Scenzia “quella che non tace mai”, Faniry  “ il gentiluomo”, Laria “la furba” , Nadine “la princesse” e così tanti altri, e poi c’è lei Cristanie, una bimba di quattro anni. 
Mi dispiace dirlo, ma è la mia preferita. E’ stato più forte di me e non potete capire quanta fatica faccia a sgridarla quando fa qualcosa che non va fatto, ma credetemi lo fa in un modo talmente buffo e disinvolto che la vorrei solamente riempire di baci.
Mi ricordo ancora quando eravamo a messa e il Don chiese chi facesse la comunione e lei alzando  la mano urlò “IO” e non la voleva tirare giù! E la grinta che ci metteva a cantare i canti durante la messa e infine, quando arrivava il momento della comunione, lei guardandomi e spingendomi mi diceva “dai!! devi andare” .

Come ho già detto prima, molti di loro sono venuti a fare disegni e colorare solamente per una o due volte, mentre i figli dei tubercolotici sono rimasti qui più di un mese. Con loro è stato bello ed è bello tuttora, perché, grazie al tempo che sono rimasti qua, sono riuscita a creare delle piccole relazioni.
Sanno che tutte le mattine vado dai loro genitori a dargli le medicine e quindi mi aspettano lungo le scale e appena mi vedono arrivare è un continuo chiamare “Agnesa!” e poi a turno, ciascuno mi chiede se può aprire la stanza e, dopo averla aperta, tutto il resto della truppa mi aiuta ad aprire le finestre e poi a fare l’operazione inversa una volta finito di dare i medicinali ai loro genitori.
Quando arrivano le cinque, dopo un pomeriggio passato in pupponiera, mi ritrovo a salutare i bambini ad augurar loro una buona serata e fra di loro c’è sempre chi cerca di chiedere se possono venire il giorno dopo anche se sanno che non è il giorno della pupponiera .

Sono contenta di questa stanza per i bambini, perché molte volte mi hanno dimostrato che ci tengono veramente.
Si impegnano ad arrivare puntuali (a volte fin troppo!), a tenere i colori, libri e tutto il materiale con cura. Verso le cinque sono loro stessi che iniziano a pulire e a riordinare la stanza.
Qualcuno di loro mi ha chiesto di insegnarli i numeri e le lettere dell’alfabeto, ho cercato una o due volte di insegnar loro qualcosa: non so cosa abbiano capito e imparato ma è stato bello imparare a fare qualcosa insieme.
In tutto questo c’è il rovescio della medaglia, ovvero quando i genitori dei bimbi sono guariti dalla tubercolosi e quindi possono tornare a casa.
Sono felice per i bimbi e per i genitori stessi che stanno bene e possono tornare a casa dalla loro famiglia nel loro villaggio, ma al tempo stesso so che mi mancheranno, come la piccola Cristanie che domani tornerà a casa.
Una volta al mese devono ritornare qui ad Ampasimanjeva per il controllo e per prendere del riso in base a da quante persone è composta la loro famiglia. 
Ogni mese non vedo l’ora che arrivi il 19 perché è il momento dei controlli e quindi ritornano anche tutti i bimbi anche se è solo per un giorno.

Ormai sono otto mesi che sono qui in Madagascar e a volte ho la sensazione di essere arrivata ieri mentre altre volte mi sembra di essere qui da una vita.
Voglio cercare di godermi questi ultimi mesi che mi rimangono, stando il più possibile con le persone, godendomi questa missione.
L’altro giorno la prima lettura diceva:
 “…La fine di tutte le cose ormai è vicina. Siate dunque moderati e sobri, per dedicarvi alla preghiera. Soprattutto conversate tra di voi una grande carità perché la carità copre una moltitudine di peccati. Praticate l’ospitalità gli uni verso gli altri, senza mormorare. Ciascuno viva seconda la grazia ricevuta, mettendola al servizio degli altri” ( dalla prima lettera di S.Pietro Apostolo)
Questa lettura è arrivata proprio nel momento in cui sto realizzando che manca poco al mio ritorno in Italia,  dicendomi di mettermi al servizio degli altri il più possibile e di essere sobria e caritatevole il più possibile.

Anche se sono qui da vari mesi faccio ancora fatica a superare e a capire molte cose.
Faccio ancora fatica ad andare in città per fare due passi, vedere facce, persone e posti nuovi  senza sentire ad ogni passo dire: “ Vasa” (bianco), oppure comprare qualcosa senza che gli occhi di bambini e adulti mi siano addosso per vedere esattamente cosa compro.
Ogni tanto, quando sono presa dall’esasperazione vorrei prendere della vernice marrone e colorarmi tutta, così da poter andare in giro come una di loro e fare tutto quello che devo fare senza sentire commenti e senza essere trattata in modo diverso.

 Spero tanto di sapermi gustare questi ultimi mesi che rimangono, di saper cogliere tutti i segni e le persone che incontrerò in questo ultimo periodo.

Vi saluto e vi abbraccio tutti! Ci vediamo presto un bacione!!  Agnessss





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