venerdì 25 luglio 2014

Madagascar: una scelta di Amore

Giulia Caraffi è da 11 mesi in Madagascar per RTM
Riuscire a raccontare questi primi 11 mesi di vita in Madagascar è difficile perchè  mi sembra di non riuscire a esprimere tutta la mia felicità in una pagina A4... mi sembra di dire tutto e niente. Le giornate scorrono velocemente, forse troppo. Mio padre mi ha chiesto così ci trovo di bello nello stare qui. Non me l'aspettavo, forse la risposta era talmente chiara a me che probabilmente non mi ero mai presa il tempo di spiegarlo agli altri. Mi è finalmente stata data la possibilità di vivere ogni secondo con amore e per amore dell'altro. Non mi viene chiesto nient'altro.


Naturalmente posso permettermelo perché ho un tetto sulla testa e il pasto assicurato. Mi è stato permesso di essere più coerente con tutto quello che avevo sempre pensato, mi sono potuta spogliare da tutto ciò che non mi permetteva di dimenticarmi di me stessa. In verità non è una cosa che si impara da un giorno all'altro ma sto provando ogni giorno a scegliere di amare sempre e comunque, a partire dalla propria comunità fino ad arrivare a quelli più lontani, a quelli che sembrano rifiutarsi all'amore, nelle continue lezioni di umiltà che la vita ci mette davanti. Detto questo, ogni cosa che faccio, al lavoro o fuori dal lavoro, dalla più banale alla più importante, se è per il bene di qualcun'altro, lo faccio con felicità e serenità.


Sono felice per le ore passate a dare un occhio ai ragazzi che vengono al centro culturale per leggere e studiare, per le ore usate a modificare un volantino per la sensibilizzazione sulla tubercolosi in modo che possa essere capito da tutti (anche da chi non sa leggere), per le giornate in cui abbiamo cercato di sensibilizzare le persone su temi come la tubercolosi e la salute mentale, per le serate in cui ho preparato i giochi per i bambini dell'orfanotrofio con i quali vado a giocare ogni sabato mattina (il gioco dello scalpo piace da morire), per i momenti passati a fare un po' di animazione all'ospedale psichiatrico di Ambokala per rompere la routine dei malati, per le mezzore prima di andare a lavoro passate ad ascoltare la gente bisognosa che viene a casa a chiedere lavoro, per le cene passate a pensare, insieme alla mia comunità, a come poter aiutare le varie persone che ci hanno chiesto una mano, per le mezze giornate passate a pensare a cosa scrivere nella lettera per l'Italia. Ogni secondo passato qui è un dono bellissimo che il Signore mi fa.


Un paio di mesi fa si è presentato un signore anziano qui in ufficio per chiedere un lavoro, Silvia gli aveva detto di venire a casa nostra al sabato mattina che è il momento in cui abbiamo un po' più tempo per ascoltare la gente, lui si è presentato e ci ha spiegato di essere solo e di aver bisogno di soldi. Dopo esserci confrontate fra di noi, gli abbiamo proposto di lavorare da noi 2 mattine a settimana con il compito di tenere pulito il cortile. Lo stipendio era di 60 centesimi di euro al giorno più due tazze di riso: un ottimo stipendio! Purtroppo poco dopo è stato sfrattato dalla sua casa perché non riusciva a pagare l'affitto. Ci ha più volte chiesto di poter venire ad abitare nella casetta vuota nel nostro cortile che una volta era del guardiano; non per cattiveria, ma non potevamo prenderlo senza avere un progetto per lui, non potevamo rischiare di renderlo ancora più dipendente da noi, cerchiamo sempre di evitare questo. A quel punto abbiamo interpellato don Giovanni Ruozi per pensare insieme a cosa poter fare per lui. Sfruttando il suo malgascio impeccabile e il fatto che fosse uomo e prete, gli abbiamo chiesto di parlare con lui per cercare di capire un po' meglio la  sua situazione: sono in tanti quelli che chiedono aiuto e spesso raccontano un sacco di frottole. Il don ha scoperto che Jonasy, questo è il suo nome, aveva dei parenti che forse lo avrebbero preso a Vangaindrano. Gli abbiamo fatto spedire un lettera ai suoi parenti che hanno risposto che sarebbero stati disposti a prenderlo. A quel punto si è deciso di prenderlo nella casetta per un breve periodo, anche perché dormendo al mercato, si era ammalato e una notte, qualcuno probabilmente più disperato di lui, gli aveva rubato quel poco che aveva e gli permetteva di vivere: una coperta, una pentola e del carbone per poter cucinare. Ormai è da 10 giorni che vive nella casa nel nostro cortile, gli abbiamo dato tutto ciò che solitamente possiede un malgascio medio per condurre una vita normale: un secchio grande e uno piccolo, una pentola, una coperta, una stuoia, una saponetta, una spazzola per i piedi, del carbone, del legno resinoso per accendere il fuoco  e dei vestiti puliti. Quando sono andata a comperare queste cose non mi sembrava possibile che fosse tutto li il minimo indispensabile per vivere... io sono partita con due valige da 23 kili e probabilmente nulla di utile per sopravvivere! Piano piano lo stiamo rimettendo a nuovo, lo abbiamo mandato dal dottore e finalmente sta guarendo dalla tosse, ora stiamo cercando di mettere a posto anche i suoi piedi pieni di pulci penetranti. E' veramente un tesoro, ce ne stiamo tutte affezionando... noi ci prendiamo cura di lui e lui fa lo stesso con noi, ci apre il cancello al mattino quando andiamo via, ci tiene da parte le cose quando ce le dimentichiamo in giro per il giardino, placca i cuccioli per non farli andare sotto la macchina, ci viene a salutare quando torniamo a casa alla sera, ci ha lavato la macchina prima che andassimo a lavoro perchè non voleva che girassimo con l'auto sporca; insomma è un tesoro! Starà con noi finché non avrà finito tutte le cure mediche, dopodiché partirà per andare dai suoi parenti, tutto tirato a lucido e con 2 soldini in tasca.. speriamo davvero che vada tutto bene. Nella prossima lettera spero che vi potrò raccontare il lieto fine di questa storia.

Con la speranza che l'amore possa guidare ogni vostro passo!
Un grosso abbraccio a tutti da Giulia

mercoledì 23 luglio 2014

Jambo Watoto! - Un salto in Congo con due amici!

15 Luglio 2014 - Bukavu (RD Congo)

Inizia così il nostro cammino in Africa: jambo watoto è il saluto che ci capita più spesso di fare a chi incontriamo per la strada; Jambo significa “ciao”  e watoto significa “ bambini”. Dunque “Ciao bambini!” sia perché i bambini sono la risorsa che non manca mai in Africa (sarà che viene buio molto presto J ) sia perché anche noi ci siamo sentiti accolti così dall’Africa: ci sembra di essere tornati bambini, quando tutto è più grande, da esplorare e devi lasciarti guidare dalle persone che incontri.

Alcuni giorni fa abbiamo concluso un pellegrinaggio organizzato dal centro missionario di Bologna nella zona del Kivu dove siamo tutt’ora, la regione del Congo più colpita dalla guerra. I luoghi visitati ci hanno portato a pensare a quanto questo paese si possa definire il simbolo delle grandi ingiustizie che il mondo difende e nutre: da un lato infatti abbiamo trovato la terra più fertile, più ricca di minerali, di gas, di acqua, legname e di vegetazione, abbiamo assaggiato i frutti più dolci e nutrienti, ci siamo scaldati con il sole più caldo che diventa pioggia quando non fa più bene all’uomo e alla terra. Dall’altro lato però abbiamo anche sperimentato quanto il popolo congolese, frutto anch’esso di questa terra così ricca, è stato privato di tutto, di ciascuna delle ricchezze destinate loro in modo così generoso, sfruttate da chi ha l’interesse a mantenere uno stato di guerra permanente per continuare questa razzia. Una guerra nascosta agli occhi del mondo, ma che conta dal ’94 a oggi otto milioni di morti (numero per difetto pubblicato nell’ultimo rapporto ONU), un numero incredibile di sfollati e rifugiati che occupano ancora oggi l’inferno dei campi profughi (abbiamo visitato il campo di Mugunga a Goma nel Nord Kivu), donne violentate (lo stupro utilizzato come arma di guerra) e bambini rimasti orfani.
Silvia maglia arancione e Giovanni maglia blu

Le vicende che stanno dietro a questa guerra sono molto complesse, ma tra le poche cose chiare a tutti coloro che non sono rimasti indifferenti, vi è la certezza che le cause di questo conflitto sono riconducibili agli interessi economici di grandi potenze straniere che sopravvivono grazie alle ricchezze di questo paese. Tenteremo di spiegarvi di più una volta tornati a casa, per ora ciò che possiamo condividere qui e con voi a casa è la sofferenza di questo popolo che ha subito un vero e proprio genocidio (anche se non riconosciuto dalle istituzioni internazionali) a causa di una guerra d’altri combattuta, e che si continua a combattere, in casa loro. Anche noi, che siamo appena arrivati, sentiamo la guerra ogni volta che accostiamo la nostra vita a quella di chi soffre sotto il peso dell’ingiustizia e della violenza, e in questi giorni ci è successo diverse volte. Ci siamo infatti accorti dopo poco tempo qui, che molte delle persone che incontriamo nella nostra quotidianità vivono storie di sofferenza alle quali la nostra ragione fa fatica a credere. Proprio pochi giorni fa, parlando casualmente con M., la ragazza che aiuta nelle faccende domestiche nella casa dove abitiamo, ci ha raccontato tutta la sua storia. Rapita 10 anni fa da un gruppo di ribelli Rwandesi ha vissuto diversi anni con loro in foresta, subendo diversi tipi di violenza; un giorno, trovando la forza di scappare, è riuscita ad arrivare dopo molti giorni di cammino, nella città di Bukavu dove è stata accolta da alcuni parenti. Trovandola incinta, questi parenti hanno cercato di fare di tutto perché abortisse, in quanto la bambina era figlia dei ribelli nemici, ma con grande coraggio la donna ha deciso di tenere la bambina dicendo a tutti che era stata sua compagna nella sofferenza. Oggi M. vive con sua figlia qui a Bukavu e nonostante tutto continua a ringraziare Dio, anche se sa che l’incubo della guerra e di queste violenze non è ancora finito.


Ma a partire da tutto questo, la cosa più incredibile che questo popolo ci sta insegnando, è che, andando oltre alla sofferenza, andando oltre alla violenza e alla guerra, non si deve mai smettere di credere alla Vita: una vita che qui si fa sentire sempre intensa e potente: attraverso il canto instancabile dei bambini; nell’immagine di una mamma che, con suo figlio sulla schiena, porta sempre con sé la vita ovunque vada; attraverso il coraggio di chi riesce ancora a trovare L’Uomo anche se nascosto dietro alla maschera di un fucile, e a dare l’ultima parola alla riconciliazione e alla pace;  attraverso uomini e donne che non cedono mai alla paura di essere vivi, di essere veramente uomini.

Nella continua sorpresa di questa vita che incontriamo, continuiamo a portarvi tutti con noi!!!

Un abbraccio!

Giò e Silvia

lunedì 7 luglio 2014

Giugno ad Ampasimanjeva

Eila!!!

Giugno qui è arrivato con prepotenza e con un po’ di freddo!


Ci hanno fatto compagnia qui ad Ampa per qualche giorno Giacomo e Francesco, l’uno si è occupato di impianti idraulici e annessi e anche non, e l’altro di impianti elettrici! Hanno girato un po’ per le varie case dei volontari e case di carità a mettere a posto alcune cose.

La dott.ssa Paola, che era arrivata qui a fine Maggio, ha deciso di tornare in Italia, e quindi dopo un paio di settimane ci ha salutato.
Anche la dott.ssa Anna, che era arrivata a metà Aprile, è tornata in Italia dopo i suoi 3 mesi qui ad Ampasimanjeva, con il progetto però di tornare molto probabilmente entro la fine dell’anno!! E restare più tempo.. chissà quanto! J
Il 26 di Giugno è stata la Festa dell’Indipendenza o “Fetim-pirenena” malgascia. La gente del villaggio ha festeggiato per tre giorni… pic-nic e musica a gogo! Partite di calcio, partite di basket.. e viaaaaa! (ecco la foto della nostra super squadra di calcio)

Ed infine un paio di giorni fa sono arrivati finalmente gli sposi!! Lei, Elena, è ostetrica, e inizierà presto a lavorare in maternità, e lui, Stefano, è ingegnere, e aiuterà Giorgio (il direttore dell’ospedale) in tutto e per tutto. Ormai siamo una super famiglia gigante.
Anche questo mese è stato ricco di emozioni.. Maaamma miaa!

Pensavo a come in certi luoghi alcune cose, certi fatti della vita, ci vengano “gettate addosso”.
Insomma spesso siamo egoisti no? Almeno, io spesso sono egoista. Insomma uno pensa a sé, alla sua vita, alle sue scelte..
E qui invece solo occhi, emozioni e gesti che si mischiano, si donano, si sporcano.. La vita, la morte. La consolazione, il non essere mai in pace.. Le fatiche, le cose possibili, le cose impossibili.. Così bello e scontato condividere e condividersi. Che roba!

Sembrano solo parole, sciocche, ma certe emozioni feriscono e cambiano, e spezzano. E’ difficile. Ma a volte è anche bello lasciarsi spezzare se poi c’è un paio d’occhi pronto a ricomporti, con la loro luminosità, la gioia inspiegabile a “noi” e semplice a “loro”.

Vi abbraccio
Gio






venerdì 4 luglio 2014

Brasile: è arrivato don Gabriele!

Carissimi amici, inizia il mese di “Sant’Ana” nostra patrona e siamo di nuovo alle prese con la grande festa. E’ un’antica tradizione ed ogni anno richiede sempre un certo impegno per prepararla al meglio, cercando di mettere al centro l’aspetto religioso e non solo pranzi, banchetti, promozioni per fare dei soldi, ecc.

E’ arrivato don Gabriele Burani qui con me, come sapete sarà il mio sostituto e sta cominciando a guardarsi attorno per capire da quale parte è finito e cercare di imparare la cosa per ora più importante: la lingua.
Siamo alle prese con la coppa del mondo, l’Italia purtroppo è già rientrata e il Brasile temo che farà la stessa fine, anche se da queste parti sono sicuri che vinca la coppa del mondo. Se volete girare bene per strada andate in giro durante le partite del Brasile, nessuno si muove e dopo la partita festa (ovviamente se vince), musica e bere. Immaginate se vince il mondiale…

Ho visto sulla libertà un sacco di cambiamenti di parroci, unità pastorali, ecc. In vari mi hanno chiesto perché non c’ero tra le nomine. Credo sia molto semplice, è una questione di tempi, nel senso che a settembre, quando inizia l’anno pastorale, non sarò ancora in Italia. Come sapete dovrei arrivare verso  novembre ma ancora non ho comprato biglietti e fissato date esatte. Auguri ai nuovi parroci trasferiti!
Um abraço a todos!

Pe. Marco

Ipirà, 2 de julho, Festa da Indipendencia da Bahia