mercoledì 23 luglio 2014

Jambo Watoto! - Un salto in Congo con due amici!

15 Luglio 2014 - Bukavu (RD Congo)

Inizia così il nostro cammino in Africa: jambo watoto è il saluto che ci capita più spesso di fare a chi incontriamo per la strada; Jambo significa “ciao”  e watoto significa “ bambini”. Dunque “Ciao bambini!” sia perché i bambini sono la risorsa che non manca mai in Africa (sarà che viene buio molto presto J ) sia perché anche noi ci siamo sentiti accolti così dall’Africa: ci sembra di essere tornati bambini, quando tutto è più grande, da esplorare e devi lasciarti guidare dalle persone che incontri.

Alcuni giorni fa abbiamo concluso un pellegrinaggio organizzato dal centro missionario di Bologna nella zona del Kivu dove siamo tutt’ora, la regione del Congo più colpita dalla guerra. I luoghi visitati ci hanno portato a pensare a quanto questo paese si possa definire il simbolo delle grandi ingiustizie che il mondo difende e nutre: da un lato infatti abbiamo trovato la terra più fertile, più ricca di minerali, di gas, di acqua, legname e di vegetazione, abbiamo assaggiato i frutti più dolci e nutrienti, ci siamo scaldati con il sole più caldo che diventa pioggia quando non fa più bene all’uomo e alla terra. Dall’altro lato però abbiamo anche sperimentato quanto il popolo congolese, frutto anch’esso di questa terra così ricca, è stato privato di tutto, di ciascuna delle ricchezze destinate loro in modo così generoso, sfruttate da chi ha l’interesse a mantenere uno stato di guerra permanente per continuare questa razzia. Una guerra nascosta agli occhi del mondo, ma che conta dal ’94 a oggi otto milioni di morti (numero per difetto pubblicato nell’ultimo rapporto ONU), un numero incredibile di sfollati e rifugiati che occupano ancora oggi l’inferno dei campi profughi (abbiamo visitato il campo di Mugunga a Goma nel Nord Kivu), donne violentate (lo stupro utilizzato come arma di guerra) e bambini rimasti orfani.
Silvia maglia arancione e Giovanni maglia blu

Le vicende che stanno dietro a questa guerra sono molto complesse, ma tra le poche cose chiare a tutti coloro che non sono rimasti indifferenti, vi è la certezza che le cause di questo conflitto sono riconducibili agli interessi economici di grandi potenze straniere che sopravvivono grazie alle ricchezze di questo paese. Tenteremo di spiegarvi di più una volta tornati a casa, per ora ciò che possiamo condividere qui e con voi a casa è la sofferenza di questo popolo che ha subito un vero e proprio genocidio (anche se non riconosciuto dalle istituzioni internazionali) a causa di una guerra d’altri combattuta, e che si continua a combattere, in casa loro. Anche noi, che siamo appena arrivati, sentiamo la guerra ogni volta che accostiamo la nostra vita a quella di chi soffre sotto il peso dell’ingiustizia e della violenza, e in questi giorni ci è successo diverse volte. Ci siamo infatti accorti dopo poco tempo qui, che molte delle persone che incontriamo nella nostra quotidianità vivono storie di sofferenza alle quali la nostra ragione fa fatica a credere. Proprio pochi giorni fa, parlando casualmente con M., la ragazza che aiuta nelle faccende domestiche nella casa dove abitiamo, ci ha raccontato tutta la sua storia. Rapita 10 anni fa da un gruppo di ribelli Rwandesi ha vissuto diversi anni con loro in foresta, subendo diversi tipi di violenza; un giorno, trovando la forza di scappare, è riuscita ad arrivare dopo molti giorni di cammino, nella città di Bukavu dove è stata accolta da alcuni parenti. Trovandola incinta, questi parenti hanno cercato di fare di tutto perché abortisse, in quanto la bambina era figlia dei ribelli nemici, ma con grande coraggio la donna ha deciso di tenere la bambina dicendo a tutti che era stata sua compagna nella sofferenza. Oggi M. vive con sua figlia qui a Bukavu e nonostante tutto continua a ringraziare Dio, anche se sa che l’incubo della guerra e di queste violenze non è ancora finito.


Ma a partire da tutto questo, la cosa più incredibile che questo popolo ci sta insegnando, è che, andando oltre alla sofferenza, andando oltre alla violenza e alla guerra, non si deve mai smettere di credere alla Vita: una vita che qui si fa sentire sempre intensa e potente: attraverso il canto instancabile dei bambini; nell’immagine di una mamma che, con suo figlio sulla schiena, porta sempre con sé la vita ovunque vada; attraverso il coraggio di chi riesce ancora a trovare L’Uomo anche se nascosto dietro alla maschera di un fucile, e a dare l’ultima parola alla riconciliazione e alla pace;  attraverso uomini e donne che non cedono mai alla paura di essere vivi, di essere veramente uomini.

Nella continua sorpresa di questa vita che incontriamo, continuiamo a portarvi tutti con noi!!!

Un abbraccio!

Giò e Silvia

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