martedì 7 giugno 2016

Madagascar: il viaggio di don Romano

Don Romano Zanni, direttore del Centro Missionario Diocesano, è appena rientrato dal Madagascar e ci racconta della sua visita alle missioni diocesane ed ai volontari.

Carissimi tutti, prima di reimmergermi nella vita quotidiana italiana vi racconto alcune cose viste e vissute senza ovviamente la pretesa di essere esaustivo. Vado per capitoletti che mi aiutano a tenere il filo.
   
   Ai Fratelli della Carità ho dedicato tempo ed energie, come era giusto. Sapendo che la perfezione la raggiungeremo solo in cielo, posso affermare che i Fratelli della Carità stanno andando abbastanza bene, che le comunità camminano con una maggiore assunzione di responsabilità e di condivisione. Come pure mi è parso di cogliere in loro il desiderio di camminare nella volontà di Dio e la ricerca di una santità quotidiana: fatta di preghiera, di lavoro, di fatiche e prove, che nessuno si nasconde, ma riconoscendo anche tante grazie, soprattutto nel rapporto con gli Ospiti delle singole Case.  Il numero dei ragazzi in formazione è incoraggiante: tra novizi, postulanti, prepostulanti, ragazzi in stage, studenti in propedeutica e teologia sono una ventina di ragazzi. Forse non tutti arriveranno alla Consacrazione... ma è comunque un bel numero! E tuttavia non stanno perdendo tempo perchè quanto apprendono e vivono servirà comunque per la loro vita.  E’ stato bello condividere con loro e godere della loro vivacità, esuberanza e gioia di vivere.

   Sono passato da quasi tutte le Case della Carità e l’incontro con la Sorelle, anche se breve, è stato un momento bello e positivo, soprattutto quando si è potuto celebrare insieme l’Eucaristia, commentando la Parola e pregando insieme per tutta la Famiglia. Abbiamo condiviso le gioie e i dolori, vicini e lantani, come la morte del Vescovo Lucjani di Sapa e di Ernesto il fratello di sr. Laurence.  Eventi in cui abbiamo sperimentato l’abbraccio grande dell’amore di Dio attaverso la l’appartenenza alla nostra Famiglia che in vario modo si è fatta presente.


   Ho speso un tempo adeguato con i nostri missionari: sacerdoti, volontari e laici che lavorano in pastorale, nei progetti di RTM e negli impegni loro affidati dal CMD. Posso dire che sono tutti sereni, con qualche preoccupazione e fatica... ma sostanzialmente tutti contenti di essere qui e prestare il loro servizio a questi fratelli, un tempo sconosciuti, ma che divengono ogni giorno più cari.

Don Giovanni Ruozi sta costruendo la nuova chiesa ed è ovviamente abbastanza preso; stupito lui stesso che la cosa gli stia piacendo. Purtroppo ormai da tre anni manca in Diocesi il Vescovo e questo non favorisce certo le cose. Inoltre l’economo diocesano, un prete “Fidei Donum” dell’Est, è andato in vacanza e il Vescovo Alfredo, attuale Amministratore diocesano, ha chiesto a don Giovanni di assumere l’interim, che rischia di diventare più lungo del previsto. Don Giovanni è comunque molto sereno e gioioso, con il suo solito stile scanzonato e un pò zingaresco che gli dona.


Don Giovanni Davoli continua il suo lavoro di responsabile di RTM in Madagascar, assistente spirituale dei volontari, vice cappellano del carcere e aiuto per la Caritas diocesana di Ambositra. Vive ad Ambositra e guida la piccola comunità dei volontari che operano in quella città. Ci ha accompagnato con la sua auto nel viaggio al sud, sempre molto disponibile e servizievole.
Diana e Chiara continuano il lavoro difficile, affidato loro dal Vescovo di Farafangana, di fare sorgere nella città di Manakara una Caritas con le caratteristiche proprie di “Caritas”, cioè più animativa e con prevalente funzione formativa e pedagogica. Ma anche qui, come in Italia, è più facile dare la borsina del cibo che avviare processi di riscatto e di liberazione. Tuttavia vanno avanti con fiducia. 

Chiara inoltre dà una mano a don Giovanni Ruozi nella gestione di una fabbricchetta di marmellate della Diocesi che dà lavoro ad un indotto di circa 40 famiglie, e nella gestione di una piccola libreria in centro a Manakara.

   Abbiamo visitato l’Ospedale Psichiatrico di Ambokala, che continua la sua attività ed è in ansiosa attesa di Enrica, attualmente in Italia per problemi familiari. Tutti pregano per la sua mamma, ovviamente, ma anche per il ritorno di Enrica, di cui sentono la mancanza.

   I volontari di RTM, sia a Tana (come coordinamento), che ad Ambositra e a Manakara, sono parecchio impegnati nei progetti per i malati mentali, delle scuole inclusive per i bimbi disabili, per la sicurezza alimentare. Sono progetti che stanno portando beneficio a questi poveretti e alle loro famglie, che spesso non sanno dove girarsi, specie quando hanno familiari in gravi difficolta psicofisiche.
Il Coordinamento di Antananarivo fa da supporto a tutto questo tenendo le fila dei vari progetti, i contatti Istituzionali con l’Italia, con i vari Ministeri e gli Uffici competenti.
   
   L’Ospedale di Ampasimanjeva va avanti nonostante le crescenti difficoltà economiche della gente, che fa sempre più fatica a contribuire alle spese mediche, e le fatiche gestionali del personale, che necessiterebbe di riqualificazione e di assunzione di nuove figure. 

Giorgio Predieri, il Direttore, è sempre bravo, impareggiabile, forse un pò stanco anche perchè gli anni passano! Un incontro provvidenziale con Giorgio e P. Cristopher (il parroco) ha individuato una proposta da sottoporre all’Arcivescovo di Fianarantsoa, proprietaria dell’Ospedale, che speriamo possa avere conseguenze positive per iniziare il passaggio dell’amministrazione dell’Ospedale alla Diocesi di Fianarantsoa, come auspicato dal Vescovo Massimo Camisasca nella sua visita pastorale a questa missione. Non dobbiamo dimenticare il grande contributo alla salute di questa popolazione, circa 80.000 persone, che la Fondation Medicale di Ampasimanjeva offre, considerando che l’Ospedale più vicino è a più di 100 km. di distanza; se venisse a mancare sarebbe un gravissimo danno alla sanità e allo sviluppo di questa regione. Le Carmelitane Minori della Carità, che vi fanno servizio, offrono anche la loro generosa maternità ai bimbi “gemelli”, che vengono abbandonati per un “fady” culturale di questa popolazione. Attualmente ne hanno tre e nei molti anni di servizio che le Sorelle hanno prestato all’Ospedale, possono contare ormai quasi 200 bimbi salvati.

   Anche quest’ultimo viaggio mi fa percepire quanto sia vero lo slogan: “la Chiesa o è missionaria o non è”, concetto espresso in altre parole da Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium e che deve rimanere per noi tutti un programma di pastorale e di vita. 
Si è ricordato parecchie volte che l’anno prossimo si celebrerà il 50° dell’invio da parte di mons. Baroni della prima équipe, capitanata da don Mario Prandi, in questa terra. Stupisce il fatto che siano proprio i malgasci a tenerci in modo particolare a questo giubileo, a cui si stanno preparando da tempo raccogliendo le storie degli inizi, testimonianze varie, riconoscendo che la loro fede, la loro esperienza di vita consacrata, è stata generata da questo evento indubbiamente straordinario: “una Chiesa in stato di Missione” che si prende a cuore l’evangelizzazione riconoscendo il dono immenso della fede che ha ricevuto e che deve condividere perchè possa vivere. Questa condivisione ci ha oltremodo arricchiti! Diventeremmo più poveri se ci lasciassimo vincere dalla tentazione di rinchiuderci nella nostra “ povertà”. Ci lasceremmo rubare la gioia del Vangelo!

   Nella festa della visitazione di Maria a S. Elisabetta veneriamo la prima missionaria che porta Gesù che ha concepito, che “corre in fretta” verso i monti di Giuda e porta la gioia: ad Elisabetta, a Giovanni il Battista, alla casa di Zaccaria al loro villaggio. É l’urgenza e la gioia della missione che ci deve spingere in Madagascar come in Italia ad annunciare il Signore che compie le opere grandi della salvezza!  É la missione che ci fa cantare con Maria le opere grandi che Dio compie nell vita di ciascuno di noi.


     Don Romano Zanni
                                                  Vicario episcopale per la Carità e le Missioni

Ultimo saluto al Vescovo Luciano

26 maggio 2016
Qoftë levduar Jesu Krishti!

Siamo arrivati con il Vescovo Adriano martedì mattina in terra albanese per portare come Diocesi di Reggio Emilia il nostro saluto e la nostra vicinanza alla chiesa sorella di Sapa e al suo Vescovo. Ci avevano preceduto don Carlo Fantini e il diacono Antonio Ferretti.
Dopo un saluto alla comunità della Casa della Carità e ad alcuni parenti del Vescovo Luciano siamo andati in Cattedrale dove da domenica sera (festa della SS. Trinità)  è stata posta la salma del Vescovo Luciano. La Cattedrale in questi giorni è diventata davvero il centro di tutta la Diocesi: è continua la processione di fedeli laici, sacerdoti, consacrate, donne, uomini, ragazze e giovani provenienti non solo dai villaggi intorno a Vau-Dejes ma anche da tante parti dell’Albania, del Kosovo e del Montenegro.
Il Vescovo Adriano ha guidato un breve momento di preghiera per e con il Vescovo Luciano, concludendo con la benedizione della salma. Anche Pjetri ha voluto salutare per l’ennesima volta il suo amico Monsignore e, aiutato da alcuni ragazzi che lo hanno sollevato, è riuscito a toccare il vetro della bara.

Nel pomeriggio abbiamo partecipato alla S. Messa celebrata dal Vescovo del Montenegro e concelebrata da diversi Vescovi e numerosi sacerdoti. A seguire abbiamo cantato il vespro in una cattedrale colma di gente.
Ci ha sorpreso il silenzio e il clima di preghiera che si sentiva, che si respirava in Cattedrale nonostante le tante persone presenti.
Abbiamo cenato alla Casa e dopo cena ci siamo ritrovati insieme al Vescovo Adriano per ricordare un po’ la figura del Vescovo Luciano e condividere il cammino fatto, da tanti anni, insieme alla chiesa albanese.
Alcuni di noi, insieme al Vescovo Adriano, sono poi saliti a Gomsiqe per la notte.
Mercoledì è stato il giorno del funerale. Si è cominciato con le lodi cantate tutti insieme in Cattedrale.
Poi sono iniziati i preparativi per la celebrazione della Messa. Gli Ospiti della Casa con sr Rita e sr Grazia hanno trovato posto in Cattedrale insieme alle altre autorità.








Nel cortile della Cattedrale era stato installato un maxi schermo per permettere anche a chi non è potuto entrare di seguire la Messa. Il cortile si è cominciato a riempiere già dalla mattina presto e continuavano ad arrivare persone: suore, donne, uomini e ragazzi, tutti per ringraziare insieme il Signore per il dono del Vescovo Luciano.
In Albania la bara viene chiusa solamente nel momento della sepoltura, quindi abbiamo potuto celebrare la Messa anche “alla presenza” del Vescovo Luciano.
La Messa è stata presieduta dal Vescovo di Scutari, mons. Massafra, concelebrata da 11 Vescovi e tanti sacerdoti. Erano presenti religiosi e religiose, rappresentanti del mondo Ortodosso e Musulmano, rappresentanti delle istituzioni guidate dal presidente della Repubblica Albanese.
L’omelia è stata fatta dal Vescovo del Kosovo, Mons. Doda, amico di sempre del Vescovo Luciano con il quale è stato ordinato sacerdote.
Il vangelo scelto era quello dell’incontro tra Marta e Gesù, “Marta dunque, come seppe che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, egli te la concederà».
Gesù le risponde “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà, chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno”.
Al termine della celebrazione il Vescovo è stato sepolto in Cattedrale.
Il nostro gruppetto, al quale si è aggiunto don Stefano, è ripartito per tornare a casa nel pomeriggio.

Dobbiamo ringraziare il Signore per il dono grande che è stato questo Vescovo per questa chiesa e anche per la nostra chiesa di Reggio. Dalle tante persone che sono passate per salutarlo viene da pensare che abbia voluto bene a tanti e che fosse un punto di riferimento per tanti, dai politici alle persone più semplici dei villaggi della montagna. E’ stato pastore buono in mezzo alla sua gente, avendo a cuore i sacerdoti, la famiglia, l’ecumenismo, i giovani, gli ammalati.




Ora comincia un tempo nuovo per la Chiesa di Sapa, un tempo in cui si dovrà continuare a camminare e a seminare nei solchi preparati dal Vescovo Luciano: la Casa della Carità, la Casa di spiritualità dei Balcani animata dai padri Carmelitani, la Caritas e tutte quelle piccole e grandi attenzioni che aveva per la  sua gente.



Don Filippo, sr Ines, Paola e Caterina

Cecilia e la nazione/continente

Sono Cecilia, ho 19 anni, sono da poco tornata da un'esperienza di 6 mesi in India nelle Case della Carità: è stata un'esperienza davvero forte e indimenticabile!
La prima cosa con cui sono venuta a contatto appena atterrata (alle 5 di mattina) è stato il terribile caldo (35 gradi). Poi, durante il viaggio per raggiungere la casa, ho fatto i primi incontri: intere famiglie che dormivano per strada, sotto i ponti, sugli spartitraffico etc… Mentre osservavo tutto questo, mi chiedevo dove fossi capitata: sono stata travolta da un odore terribile che passava dal pesce marcio allo smog, alla fogna a cielo aperto e nonostante il buio sono riuscita a vedere tante case fatte solamente con teli di plastica.

Versova
Poi finalmente arrivo a Versova (alla Casa della Carità) e davanti alla porta di ingresso vedo una scritta e un disegno fatti con polveri colorate (welcome): questo è stato solo il primo segnale di accoglienza. 

Nei giorni seguenti provo a capire dove sono e a conoscere un po' la casa (che fortunatamente per certi aspetti è simile a quelle italiane), a imparare i nomi degli ospiti e della gente che frequenta la casa. Piano piano cerco di interagire con loro, ma non tutti conoscono l'inglese, qualcuno parla solo Hindi o Marathi. Questo mi ha aiutato a capire una grossa caratteristica dell'India: è formata infatti da 29 Stati e ha 22 lingue ufficiali. Le uniche due lingue nazionali sono l'Hindi e l'Inglese, ma non tutti possono studiarle; di conseguenza la comunicazione anche tra loro non è sempre facile.

Un po' alla volta ci si abitua alla vita di casa; non è stata la cosa più difficile. Infatti gli ospiti sono sempre un grande aiuto sotto moltissimi aspetti e con loro si impara a comunicare anche senza parlare la stessa lingua.

Girando per le strade e andando tra la gente, si viene quasi abbagliati dall'enorme quantità di colori brillanti che si vedono ovunque, nel modo di vestirsi della gente, nelle case, nei negozi e persino sui carretti dei venditori ambulanti. Impressionante è anche la quantità di statue, di immagini sacre e di fiori che si vedono dappertutto. Tutto questo, in mezzo a un traffico frastornante causato non solo dalle auto e dalle riscia (una specie di apecar giallo e nero), ma anche dalle migliaia di persone che camminano in strada. La vita indiana, infatti, è vissuta per la maggior parte del tempo fuori casa.
Per non parlare dei mezzi pubblici. Ogni volta che si prendono è una nuova avventura: salire su un treno vuol dire cominciare a sgomitare e farsi spazio non appena rallenta, stare stretti come delle sardine durante tutto il viaggio e prepararsi almeno 3 fermate prima, altrimenti diventa impossibile scendere.

Ho trascorso i primi 2 mesi nelle periferie di Mumbai;  poi  sono andata a Uttan per poco più di un mese, un villaggio di pescatori con una forte presenza cristiana e con tutte le caratteristiche di un villaggio: molto accoglienti all'inizio ma anche molto attaccati alle tradizioni. Qui ho avuto la fortuna di partecipare a dei matrimoni che sono davvero molto diversi dai nostri. 
Slum Mumbai

Tornando da Uttan ho visitato uno slum, che credo non sia possibile descrivere a parole: ho visto famiglie con almeno 2 bambini vivere in case di lamiera formate da una stanza, senza bagno, che danno su strade strettissime. Ovviamente l'acqua non è corrente; ma la cosa che mi ha colpito di più è la realtà sociale dello slum: una specie di comunità dove molte cose sono in comune. Ad esempio, i bambini spesso entrano senza problema in casa dei vicini come se fosse la loro.

                                                              Successivamente sono andata in Kerala, uno Stato del Sud completamente diverso da Mumbai, un piccolo paradiso terrestre: qui la visuale cambia sensibilmente, molto meno traffico, molto meno rumore e molte più piante e ruscelli, con il 25% dei cristiani (contro il 2% di Mumbai), ma con una cultura ancora diversa.


Infine sono ritornata a Versova e credo sia impossibile descrivere l'emozione provata: la sensazione di essere rientrata a casa o meglio di non essere mai andata via. Un'accoglienza strepitosa come se fossi stata via un sacco di tempo e allo stesso tempo come se fossi sempre stata una di loro; davvero un emozione stranissima ma bellissima e indescrivibile. Qui ho trascorso le ultime 2 settimane prima di rientrare in Italia, durante le quali ho anche vissuto la Pasqua...

Un aspetto dell'India che mi ha molto colpito è quello dell'interreligiosità, vedere come 3 grandi religioni convivano e si mescolino. Ad esempio: molto spesso veniva gente indù o musulmana in casa a offrire il pranzo o a portare qualcosa per gli ospiti. Gli stessi ospiti sono di religioni diverse; inoltre, la mattina si sentivano prima le campane della nostra chiesa poi quelle del tempio indù, lì vicino, mentre a Uttan si sentiva il Muezin.

Premnidhi Special School

Un altro aspetto davvero particolare è come ricchezza e povertà convivano una accanto all'altra: spesso girando per i quartieri si vedono palazzi e case meravigliose e accanto interi slum (magari un po' nascosti) o case davvero poverissime.

Questa è stata un po' la mia esperienza. Di India io ne ho vista davvero una piccola parte, ma da quel poco ho capito che noi non siamo "il centro del mondo", che tutto quello che possiamo pensare o immaginare, o crediamo sia giusto, è solo il nostro modo di vedere le cose.
Cobra 


Andare in India vuol dire dimenticare tutto quello che si crede di sapere e immedesimarsi in una nuova realtà che può sembrare assurda. Questo mi ha insegnato: che tutto quello che penso è il mio semplice punto di vista, e che prima di giudicare qualcosa o qualcuno devo sempre chiedermi se ho provato di guardarlo con occhi diversi, e smetterla di credere che ciò che penso sia sempre la cosa più giusta.

Cecilia