martedì 7 giugno 2016

Cecilia e la nazione/continente

Sono Cecilia, ho 19 anni, sono da poco tornata da un'esperienza di 6 mesi in India nelle Case della Carità: è stata un'esperienza davvero forte e indimenticabile!
La prima cosa con cui sono venuta a contatto appena atterrata (alle 5 di mattina) è stato il terribile caldo (35 gradi). Poi, durante il viaggio per raggiungere la casa, ho fatto i primi incontri: intere famiglie che dormivano per strada, sotto i ponti, sugli spartitraffico etc… Mentre osservavo tutto questo, mi chiedevo dove fossi capitata: sono stata travolta da un odore terribile che passava dal pesce marcio allo smog, alla fogna a cielo aperto e nonostante il buio sono riuscita a vedere tante case fatte solamente con teli di plastica.

Versova
Poi finalmente arrivo a Versova (alla Casa della Carità) e davanti alla porta di ingresso vedo una scritta e un disegno fatti con polveri colorate (welcome): questo è stato solo il primo segnale di accoglienza. 

Nei giorni seguenti provo a capire dove sono e a conoscere un po' la casa (che fortunatamente per certi aspetti è simile a quelle italiane), a imparare i nomi degli ospiti e della gente che frequenta la casa. Piano piano cerco di interagire con loro, ma non tutti conoscono l'inglese, qualcuno parla solo Hindi o Marathi. Questo mi ha aiutato a capire una grossa caratteristica dell'India: è formata infatti da 29 Stati e ha 22 lingue ufficiali. Le uniche due lingue nazionali sono l'Hindi e l'Inglese, ma non tutti possono studiarle; di conseguenza la comunicazione anche tra loro non è sempre facile.

Un po' alla volta ci si abitua alla vita di casa; non è stata la cosa più difficile. Infatti gli ospiti sono sempre un grande aiuto sotto moltissimi aspetti e con loro si impara a comunicare anche senza parlare la stessa lingua.

Girando per le strade e andando tra la gente, si viene quasi abbagliati dall'enorme quantità di colori brillanti che si vedono ovunque, nel modo di vestirsi della gente, nelle case, nei negozi e persino sui carretti dei venditori ambulanti. Impressionante è anche la quantità di statue, di immagini sacre e di fiori che si vedono dappertutto. Tutto questo, in mezzo a un traffico frastornante causato non solo dalle auto e dalle riscia (una specie di apecar giallo e nero), ma anche dalle migliaia di persone che camminano in strada. La vita indiana, infatti, è vissuta per la maggior parte del tempo fuori casa.
Per non parlare dei mezzi pubblici. Ogni volta che si prendono è una nuova avventura: salire su un treno vuol dire cominciare a sgomitare e farsi spazio non appena rallenta, stare stretti come delle sardine durante tutto il viaggio e prepararsi almeno 3 fermate prima, altrimenti diventa impossibile scendere.

Ho trascorso i primi 2 mesi nelle periferie di Mumbai;  poi  sono andata a Uttan per poco più di un mese, un villaggio di pescatori con una forte presenza cristiana e con tutte le caratteristiche di un villaggio: molto accoglienti all'inizio ma anche molto attaccati alle tradizioni. Qui ho avuto la fortuna di partecipare a dei matrimoni che sono davvero molto diversi dai nostri. 
Slum Mumbai

Tornando da Uttan ho visitato uno slum, che credo non sia possibile descrivere a parole: ho visto famiglie con almeno 2 bambini vivere in case di lamiera formate da una stanza, senza bagno, che danno su strade strettissime. Ovviamente l'acqua non è corrente; ma la cosa che mi ha colpito di più è la realtà sociale dello slum: una specie di comunità dove molte cose sono in comune. Ad esempio, i bambini spesso entrano senza problema in casa dei vicini come se fosse la loro.

                                                              Successivamente sono andata in Kerala, uno Stato del Sud completamente diverso da Mumbai, un piccolo paradiso terrestre: qui la visuale cambia sensibilmente, molto meno traffico, molto meno rumore e molte più piante e ruscelli, con il 25% dei cristiani (contro il 2% di Mumbai), ma con una cultura ancora diversa.


Infine sono ritornata a Versova e credo sia impossibile descrivere l'emozione provata: la sensazione di essere rientrata a casa o meglio di non essere mai andata via. Un'accoglienza strepitosa come se fossi stata via un sacco di tempo e allo stesso tempo come se fossi sempre stata una di loro; davvero un emozione stranissima ma bellissima e indescrivibile. Qui ho trascorso le ultime 2 settimane prima di rientrare in Italia, durante le quali ho anche vissuto la Pasqua...

Un aspetto dell'India che mi ha molto colpito è quello dell'interreligiosità, vedere come 3 grandi religioni convivano e si mescolino. Ad esempio: molto spesso veniva gente indù o musulmana in casa a offrire il pranzo o a portare qualcosa per gli ospiti. Gli stessi ospiti sono di religioni diverse; inoltre, la mattina si sentivano prima le campane della nostra chiesa poi quelle del tempio indù, lì vicino, mentre a Uttan si sentiva il Muezin.

Premnidhi Special School

Un altro aspetto davvero particolare è come ricchezza e povertà convivano una accanto all'altra: spesso girando per i quartieri si vedono palazzi e case meravigliose e accanto interi slum (magari un po' nascosti) o case davvero poverissime.

Questa è stata un po' la mia esperienza. Di India io ne ho vista davvero una piccola parte, ma da quel poco ho capito che noi non siamo "il centro del mondo", che tutto quello che possiamo pensare o immaginare, o crediamo sia giusto, è solo il nostro modo di vedere le cose.
Cobra 


Andare in India vuol dire dimenticare tutto quello che si crede di sapere e immedesimarsi in una nuova realtà che può sembrare assurda. Questo mi ha insegnato: che tutto quello che penso è il mio semplice punto di vista, e che prima di giudicare qualcosa o qualcuno devo sempre chiedermi se ho provato di guardarlo con occhi diversi, e smetterla di credere che ciò che penso sia sempre la cosa più giusta.

Cecilia

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