lunedì 30 novembre 2015

Albania: la famiglia di Samuele a Gomsiqe

Siamo Lorenzo ed Alessandra Ferretti di Albinea. Dal 19 al 26 ottobre, insieme ai nostri figli Pietro ed Elena e nostra nipote Teresa, siamo stati in Albania nella missione di Gomsiqe, dove nostro figlio maggiore Samuele è presente dal 27 aprile e resterà fino alla fine di marzo 2016.

E’ stato un viaggio voluto e sperato non solo per vedere nostro figlio, ma per capire e condividere la sua scelta di partire per 12 mesi staccandosi da tutte le sue sicurezze o prospettive di vita futura, per vivere in una terra e in una realtà completamente avulsa dalle esperienze che fanno i suoi coetanei oggi.

Durante la nostra permanenza, abbiamo fatto “vita di missione”, cioè abbiamo seguito Don Stefano e Samuele nelle loro varie attività pastorali ma non solo. Abbiamo passato 1 settimana di vita familiare di assoluta condivisione: ci alzavamo insieme, pregavamo, mangiavamo, ci spostavamo insieme e ogni attività non poteva che essere fatta in comunione.



Abbiamo visitato Scutari e visto i segni lasciati da una delle dittature più violente del Novecento; abbiamo incontrato uomini e donne che ci hanno mostrato la loro testimonianza e ci hanno raccontato come questo popolo abbia affrontato le sofferenze del regime senza mai abbandonare la propria fede dimostrandoci oggi come diverse religioni possano convivere in pace e tolleranza reciproca.
Abbiamo sperimentato l’accoglienza delle famiglie dei villaggi, che nella loro dignitosa ospitalità condividono quel poco che hanno con l’ospite sacro e portatore di benedizione. Abbiamo sperimentato la festa dei bambini durante l’ora del catechismo fatto di canti gioiosi, di gioco insieme, di gesti e parole semplici ma che rendono viva ed efficace la Parola di Dio. Tutto è semplice; si vive e si fa con quello che si ha.


Pietro, Elena e Teresa hanno, per una settimana, “abbandonato” le loro abitudini, le loro comodità e si sono adattati e messi a disposizione facendo quello di cui c’era bisogno. I tempi morti non esistono ( o perlomeno sono molto pochi) e il ritmo della giornata è cadenzato da tanti impegni e si arriva alla fine della giornata sfiniti; però il tempo per una partita a carte, un po’ di musica con la chitarra, due canti in allegria o semplicemente lo stare insieme per chiacchierare lo si trova sempre.

Come Chiesa siamo chiamati a guardare oltre i nostri confini perché la nostra ricchezza e le nostre comodità ci fanno perdere spesso il senso della nostra fede, il senso di che cosa vuol dire accoglienza, fratellanza, compassione e condivisione. Vediamo nell'altro solo un pericolo o una minaccia per il nostro benessere e per la nostra tranquillità.

Allora, al ritorno da questo meraviglioso viaggio nella terra albanese sentiamo più vere che mai le parole di Papa Francesco che ci richiama nell'essere oggi coerenti con la povertà del messaggio evangelico: <..come possiamo dire agli altri di essere poveri se noi non assumiamo atteggiamenti pubblici e privati di povertà…>.
Queste parole, Signore, diventino sempre più espressione vera, coerente e condivisa di tutta l’umanità.
Lorenzo, Alessandra, Teresa, Pietro ed Elena

Persone. Viaggio in Tamil Nadu, India, agosto 2015

Ricordo una delle ultime sere trascorse in India, dopo una speziatissima cena. Con alcuni amici, compagni di viaggio, ci siamo seduti sotto il lungo porticato bianco della casa di Tiruchirapalli, rigorosamente accerchiati da zampironi, a parlare del senso di questi viaggi.
C’era chi contestava quello che alcuni dicono sul fatto che questo tipo di esperienze ti cambino la vita, chi sosteneva che possono cambiarti la vita se della tua vita c’è effettivamente qualcosa da cambiare e, infine, chi affermava che, per forza, un viaggio in qualche modo, che tu te ne renda conto o meno, la vita te la cambia.
Io appartengo sicuramente all’ultimo filone di pensiero. Ogni viaggio che ho fatto in qualche modo penso mi abbia cambiata, questo è sicuramente tra quelli che lo hanno fatto con più forza.
È stato un viaggio di tre settimane in lungo e in largo per la regione indiana Tamil Nadu. Uno degli ultimi giorni, tracciando sulle cartine comprate a pochi cent per strada, ci siamo resi conto di aver percorso all'incirca 2500 km tra pulmini sgangherati e tuctuc gialli canarino.
2500 km scanditi da varie tappe alcune turistiche, altre no. Alternavamo templi coloratissimi stracolmi di gente e di odori a scuole di bambini con le più svariate disabilità. Musei e parchi archeologici a conventi, centri di medicina tradizionale e villaggi, ma se dovessi dire cosa mi torna in mente dell'India, risponderei di sicuro Fatimanagar.
Fatimanagar, un centro medico in cui vengono ricoverati e curati (con cura non intendo solo cure mediche, ma anche attenzioni, buon cibo, un lavoretto) persone affette da HIV, TBC e Lebbra.



Purtroppo il tempo trascorso con queste persone è stato davvero troppo poco, ma abbastanza per volersi bene. Un volersi bene nato dal semplice passare un po’ di tempo insieme, cercare di comunicare in tutti i modi possibili con gesti, facce e risate fragorose. Non scorderò mai la risata
collettiva di quando prima di partire ho bussato alla porta del dormitorio femminile, un gesto a loro completamente sconosciuto. Una risata che mi ha disarmata per la sua bellezza, donne che avevano perso le mani o un piede che ridevano di gusto per un gesto così semplice, mi ha spiazzata la bellezza della diversità, un gesto così semplice, diverso, fatto con il rispetto dovuto a chi ti apre la porta della sua realtà e carico di tutta la tristezza che si ha quando si saluta una persona cara che si sa che probabilmente non si rivedrà più.
Assurdo ricordarsi una risata in un contesto così?
Assurdo ricordarsi il tifo che mi facevano quando cercavo di vincere ad un gioco di cui non so tuttora le regole (che mi sono state accuratamente spiegate in Tamil)?


Assurdo ricordare il canto di preghiera di un’anziano che finalmente guarito stava per tornare a casa?
La risposta che mi sono data, e che può essere tranquillamente contraddetta, è no.
No perché questo è stato quello che mi ha permesso di stare insieme a queste donne, a queste persone, vivere serenamente e godere dello stare insieme; è quello che mi ha permesso di stare insieme a loro con tranquillità durante le medicazioni, perché dietro alla ferita c’era una persona, un nuovo amico.
Quello che mi dispiace molto è che vorrei che ognuno di noi scrivesse una riga di quello che gli è rimasto di più, perché sono certa che sarebbero tutte cose diverse. A me è rimasto questo, ma so di tanti che sono rimasti profondamente colpiti dall'esperienza nelle scuole, o con i bimbi malati di AIDS o dalla realtà dei villaggi.
Mi dispiace di non poter parlare di tutto, ma è davvero troppo, non ho ancora trovato la forza di rileggere il diario di viaggio, ci troverei troppe bombe… la malattia, la disabilità, il binomio vita-morte, il lutto, l’amicizia, l’amore, la meditazione, Dio e troppo altro.
Sono partita senza aspettative, avevo paura del caldo e di cosa avrei visto, sono tornata che non ho capito quasi nulla dell’India, o meglio, del Tamil Nadu.
So il nome di qualche divinità, ho provato a meditare, ho conosciuto e vissuto l’accoglienza.
L’accoglienza: non scorderò mai il giorno trascorso con gli anziani della “casa di riposo” della nostra casa a Tiruchirapalli.
Ci hanno accolti con un bicchiere di Fanta e uno sciallino bianco di cotone, ognuno ricamato con un motivo floreale diverso, li ho sentiti nonni. Tutti miei nonni, tutti nonni di tutti noi. Parlare di accoglienza è riduttivo, ci sono sentimenti che si possono solo vivere per essere capiti. Se penso a quei nonni che mi hanno fatto vedere le foto di famiglia, regalato caramelle e santini, mi hanno fatto sedere sul loro letto e mi hanno preso la mano per sentici vicini, come se non lo fossimo già
abbastanza; se penso a loro li penso con tutto il bene con cui si pensa ad un nonno. Loro come a quel signore sui settanta di cui non mi ricordo nemmeno il nome, troppo difficile, un signore dalla dolcezza estrema che vedeva i suoi piedi decomporsi lentamente, quel signore che ha occupato i miei pensieri per giorni, riempiendomi la testa di domande enormi.
A distanza di alcuni mesi ripenso all'India, mi è venuto un gran mal di testa, troppe emozioni, forse, in conclusione, ripensando un po’ a tutto, penso che quello che mi ha insegnato quest’esperienza è che non è necessario parlare la stessa lingua o conoscersi a fondo per volersi bene, quello che mi è rimasto è che per volersi bene basta guardarsi e riconoscersi uomini.

MariaChiara Filippi


mercoledì 18 novembre 2015

Vanessa ed il Brasile prossimo

Vanessa Leccese ha 26 anni e nel 2009 è venuta ad abitare a Reggio Emilia per studiare. Ora è laureata in scienze dell'educazione.
E’ già stata 3 volte in Brasile e sentiva il desiderio di una esperienza di lunga durata, ci scrive…

"A 19 anni un ragazzo italiano si trova di fronte ad una scelta, quella di iscriversi all’università o meno. E per noi ragazzi del sud Italia il quesito è anche: lasciare casa, trasferirsi in qualche altra città o restare. Per me, nel 2008, la scelta è stata un’altra. Avrei potuto fare la cosa più semplice, iscrivermi all’università. Ma dentro di me sentivo che non era quello che volevo. Stavo cercando la felicità, quella travolgente, che ti toglie il respiro.Mi chiamo Vanessa, ho 26 anni e sono di Montescaglioso (MT). Sono partita per il Brasile nell’ottobre 2008 e sono ritornata nell’aprile 2009 sapendo cosa volevo: diventare un’educatrice! E così mi sono iscritta all’università di Modena e Reggio Emilia, sicuramente guidata da Qualcuno che ci vedeva più lontano di me. Mi sono laureata e, nel frattempo, ho avuto la grande fortuna di conoscere alcuni servizio civilisti della Caritas che mi hanno un po’ stravolto la vita. Nel 2013 ho deciso di partecipare al bando SCV, superandolo. Ho prestato servizio per un anno in una Comunità di prima accoglienza per mamme e bambini e nel frattempo sono venuta a conoscenza del Corso di “Villa Borettini”, organizzato dal Centro Missionario di Reggio Emilia e da altre realtà reggiane che si occupano di missione. In quel momento mi sono ritrovata di fronte ad un bivio: cosa fare della mia vita? Nel frattempo l’anno di servizio civile era finito. Avevo trovato lavoro come educatrice, ero felice. Erano sei anni che vivevo a Reggio: amici, affetti, l’indipendenza tanto desiderata, ma c’era qualcosa che mancava.Agli occhi della società  stavo finalmente costruendo la mia vita, ma il sogno dal quale ero partita, quello di diventare educatrice, sapevo che non era completo, non era quello il vero motivo per cui mi ero iscritta all’università.

E così il coraggio di rischiare: “don Romano vorrei partire!”. E don Romano Zanni, direttore del Centro Missionario della Diocesi di Reggio Emilia, mi ha accolto con questa proposta: “C’è un progetto in Bahia pensato per una coppia, ma hanno deciso di non partire… tu cosa ne pensi?”.Ho aspettato tre mesi prima di richiamare, perché farlo voleva dire sì, sono pronta. E quando ho avuto il coraggio, nulla si è più fermato: i documenti, comunicarlo alla mia famiglia, la preparazione, il corso a Verona organizzato dal CUM (Centro Unitario per la Cooperazione Missionaria fra le Chiese) per tutti i partenti in missione in America Latina e Africa.L’8 novembre partirò e quando mi guardo indietro penso che quanto è accaduto nella mia vita negli ultimi 6 anni mi abbia portato a questo ritorno in Brasile.

Vanessa Leccese (al centro) con Alba (alla sua sinistra, prossima partente per il Madagascar) con altri partenti al Cum.


A me non piace raccontare della mia vita, ho riflettuto molto prima di scrivere, ma qualcuno mi ha detto: “credo sia importante trasmettere un messaggio, qualcuno l’ha fatto con me, oggi lo faccio io”.In molti hanno detto di me che sono una persona coraggiosa, in realtà penso di non esserlo. Ho preso una decisione, voglio vivere la mia vita! Non cerco la felicità, ma la pace di vivere ogni giorno in pienezza!"

Il progetto Mãe da esperança
Il progetto Mãe da esperança  a Nova Redençao nello stato federale di Bahia in Brasile, opera a favore dei minori a rischio seguendo la loro crescita. È una piccola struttura che accoglie i bambini da 0 a 12 anni che si trovano in estrema difficoltà non solo materiale ma anche famigliare. Centro di attenzione sono i bambini con la loro storia legata alla famiglia, alla scuola e al potenziamento della loro creatività.

Ora dal Brasile: don Gabriele Burani

Pubblichiamo la lettera di novembre che ci ha inviato don Gabriele Burani, missionario fidei donum della Diocesi di Reggio Emilia in Brasile.


don Gabriele


Ipirá, Bahia, lettera del novembre 2015  

Carissimi, un  saluto a tutti.
Mando un piccolo aggiornamento da Ipirá – Bahia.
Stiamo riflettendo, in questi mesi, anche sulla nostra presenza come missionari reggiani in Brasile e con la visita del Vescovo continueremo questa riflessione.
Penso che la nostra presenza qui debba essere anche e soprattutto di animazione missionaria.  La domenica della Giornata Missionaria Mondiale, nelle omelie ho detto che il Brasile é uno degli Stati, nel mondo, con il maggior numero di cattolici. Ma con pochi missionari ad gentes. E anche nella nostra realtá di una grande parrocchia come Ipirá la spinta missionaria dovrebbe essere maggiore. La messa penso sia frequentata con regolaritá  dal 2-3 % della popolazione circa, e, almeno in cittá, per la maggior parte persone di classe media. Non ci sono grandi ricchi, non ci sono i politici, sono pochi i piú poveri.   Abbiamo alcuni quartieri con moltissime famiglie senza presenza cattolica; soprattutto in zone dove é molto forte la diffusione della droga e le famiglie sono disintegrate.
Poi sto scoprendo, nella zona di campagna della parrocchia, villaggi che non hanno mai avuto una presenza di Chiesa, e altre zone con gruppi di cattolici ma con nessuno che sia in grado di guidare una comunitá: persone senza istruzione, che non sanno né leggere né scrivere, che non hanno mai avuto una formazione catechetica.
Allora la sfida per la parrocchia: animare la nostra missionarietá.
Ci sono alcune attivitá belle come la missione diocesana in una parrocchia una volta l’anno, anche un fine settimana ogni anno in parrocchia la missione dei giovani fatta in alcune comunitá della campagna. Ma abbiamo bisogno di animare la comunitá, dare una spinta maggiore, entrare in tante zone abbandonate, incontrare le famiglie per annunciare il vangelo. Una esigenza, anche qui da noi, é formare una equipe per la animazione missionaria della parrocchia.
Abbiamo fatto due incontri per dare inizio a questa equipe missionaria, e grazie a Dio un gruppo di persone si é reso disponibile. Innanzitutto per una formazione, per uno studio della realtá. Poi vedremo quali attivitá missionarie, dove e come muoverci.
Una piccola esperienza, con un gruppetto di giovani siamo andati in uno dei quartieri poveri e problematici, Ipirazinho, dove é anche presente il Progetto Dançar á vida. Abbiamo incontrato alcune famiglie piú disagiate e con molti bambini, per invitarli a un giorno di festa( preghiera, gioco, danze, doni...). Un resoconto di qualche incontro.

don Gabriele con alcuni parrocchiani


 Ipirazinho   Con un gruppetto di giovani  andiamo in Ipirazinho a visitare alcune famiglie più povere ed invitare i bambini ad una festa, il 1 novembre. Ci sono sempre tanti bambini in questo povoado. Una giovane, che ha una forma di atrofia agli arti ed è in carrozzella, abita nel villaggio e aiuta nella liturgia, ci guida nella visita delle famiglie che hanno bambini e che sono bisognose.
Andiamo da Luiza, che ha 7 figli, il maggiore ha 18 anni; la incontriamo sulla strada, con alcuni dei figli più piccoli, è triste e piange, il secondo figlio ( 16-17 anni) la scorsa settimana è finito in carcere. Un giorno è arrivata la polizia nella loro piccola casetta, lui aveva droga e lo hanno portato in prigione.  Lei è sola con questi bambini piccoli, abita di fronte alla chiesetta del villaggio e i bambini vengono sempre a salutarci quando arriviamo.  Il figlio maggiore fa qualche lavoro saltuario.  Luiza ci chiede di andare un giorno nella sua casa per fare un incontro di preghiera. Ci fermiamo anche in questo momento sulla strada per pregare insieme, e le diciamo che un pomeriggio andremo per pregare in casa sua.
A poche decine di metri abita Sandra, in una casa dall’aspetto molto trasandato; un figlio piccolo, sporco e seminudo, molto attivo, si unisce a noi nelle nostre visite. Sandra è giovane, avrà 25-28 anni, con diversi figli e una situazione di miseria: è sporca, spettinata, disordinata, scalza, con i piedi neri. Anche lei sola, con questi figli piccoli. Un maschietto in età scolare ( 10 anni, mi pare) non va a scuola, preferisce andare al pascolo con gli animali. A quest’età ancora non sa leggere e scrivere; nemmeno la madre sa scrivere. Le diciamo che importante che i figli vadano a scuola, per imparare a leggere e scrivere, e lei è d’accordo ma non sa come fare. Anche qui manca la figura paterna; chi è il padre o i padri di questi figli? Tante donne sole con tanti bambini, che vivono in una situazione di estrema povertà culturale ancor prima che materiale.

Mentre camminiamo una signora mi chiama da casa sua. Quando arrivo mi dice: perché non venite da me? Io non so cosa rispondere, le dico che ora sono da lei e può parlare liberamente. Mi dice che il gruppo della chiesa cattolica non va da lei perché i figli grandi sono protestanti, ma anche da lei ci sono dei bambini. La invito a rimanere serena, anche i bambini della sua famiglia possono partecipare con gli altri.
Pian piano arriva la sera, ci spostiamo in una altra zona: una giovane donna, malata, si muove a fatica per problemi al collo e alla schiena, ha 4 figli piccoli... vivono in una casa minuscola, due stanze mal fatte, hanno solo i mattoni delle pareti, la Tv e poco più. Lei ci chiede anche aiuti alimentari. Il volto sofferente, sentiamo il peso della disperazione. Ancora una donna sola, con tante difficoltà.
Una luce accesa in una altra casa, Aparecida ha 8 figli, tutti minori, i più piccoli si aggirano completamente nudi, sorridendo. Li invitiamo alla festa, sono in tanti in un ambiente povero ma sono sereni, allegri.

Accanto una altra casa animata, con tanti bambini. Davanti alla casa una signora sui trenta anni, che ha 5 figli, sulla porta un’adolescente di 16 anni, sua figlia, che a sua volta è madre di due figli, uno di un anno e mezzo e uno di quattro mesi.
Persone che vivono con gli aiuti dello Stato per le famiglie povere. Spesso madri sole. In genere non ci sono situazioni di estrema miseria, perché qualche aiuto arriva. Il problema forte è culturale. Frequentano la scuola saltuariamente o non frequentano, non imparano a leggere e scrivere, rimangono esclusi da tante attività...   per questo il nostro Progetto “ Dançar à vida” per i ragazzi diventa un aiuto per fortificare l’impegno scolastico, per aiutare a lavorare in gruppo, per aumentare autostima e fiducia nella possibilità di crescere e realizzarsi nel bene. Un appoggio nella crescita culturale rispetta la dignità della persona.
Qualche giorno dopo la visita, andiamo con un gruppetto di giovani, per un giorno di animazione, cantando, giocando, portando piccoli regali. Tanti bambini si uniscono, spuntano da tutte le case del villaggio.

Ringraziamo il Signore per queste opportunità.

giovedì 5 novembre 2015

La festa della Casa di Carità in Albania

Laç Vau-Dejes, 15 ottobre 2015

Ciao a tutta la nostra bella Famiglia, in Italia e nelle missioni diocesane. 
Anche noi oggi abbiamo celebrato la festa di Shenjte Tereza: festa shume e madhe.
Noi siamo fortunati perché oltre alle Carmelitane della Casa della Carità, nella diocesi di Laç c’è anche un monastero di Carmelitane di clausura: a Nenshat infatti c’è un Carmelo con una decina di monache.
La comunità di Gomsiqe, formata in questo momento da don Stefano, Samuele e la Titti (in visita per 3 settimane), è scesa alla Casa della Carità mercoledì sera per potere iniziare la giornata del 15 insieme a sr Rita con la preghiera. È sempre un po’ strano pensarsi lontano (ma solo fisicamente!) da Reggio per il 15 ottobre, lontano dalle lodi e ufficio in S. Teresa, lontano dalla preparazione degli Ospiti per arrivare al palazzetto, lontano dal carica/scarica gli Ospiti dai pulmini, lontano dal canto iniziale del Veni Creator… lontano ma vicinissimo con la preghiera e il pensiero.
La nostra giornata è proseguita con la mattinata trascorsa in Casa mentre motra Rita è andata a Scutari per alcune faccende. Ovviamente nella frenesia qualcosa non ha funzionato: motra Rita sale in macchina pronta per partire e… la macchina non parte. Non si perde d’animo e si lancia subito alla caccia di un “furgon” direzione Scutari.
Durante il pranzo sr Rita rientra da Scutari e festeggiamo insieme S. Teresa con una bella porzione di “trileçe” (tipico dolce albanese che consiste in una pasta tipo pan di spagna imbevuta di 3 tipi di latte diversi e sopra cosparsa di qualcosa simile al caramello: se potete assaggiatelo!) per tutti. 
Alla fine del pranzo facciamo un piccolo sondaggio tra gli Ospiti per capire chi vuole andare a Nenshat, al Carmelo, dove ci sarà la messa solenne con il vescovo Luçiano. Le nonne preferiscono rimanere a casa temendo di tornare troppo tardi ma i nostri baldi giovani Regjna e Pjetri non hanno dubbi: loro ci saranno! Così di buon ora motra Rita, Samuele e don Stefano partono per il Carmelo per partecipare alla festa insieme a tutta la diocesi e alle Carmelitane. Prima della messa viene fatto un incontro di preghiera per i religiosi che conclude il 500enario della nascita di S. Teresa. 
A Casa la Titti, con il fedele Fabjan (che pur essendo giovane ha preferito restare a fare il “burri” (uomo) di casa) e la nonna Dila hanno provato a guardare via internet la festa del palazzetto: ogni tanto, spesso, la connessione saltava però le vostre facce le abbiamo viste e ci siamo emozionati e la Dila ha anche riconosciuto don Romano, don Filippo, don Daniele e il diacono Antonio Ferretti e ogni volta che venivano inquadrati esclamava: “Zemer!!” (modo affettuoso per rivolgersi ad una persona, letteralmente “cuore”). Abbiamo cercato di vedere motra Grazia (la nostra rappresentante al palazzetto) ma con scarsi risultati.
Noi rimasti in Casa ci siamo andati alla Messa in Cattedrale presieduta da don Simon, che ha ricordato come a Reggio Emilia sia festa grande per tutte le Case della Carità la festa di S. Teresa.
Terminata la messa Fabjan, Dila, Mrika e Titti sono tornati a Casa e hanno preparato la cena aiutati da Bardha, una ragazza che si è poi fermata per la notte. Finalmente sono tornati anche i “baldi giovani” dal Carmelo. Non abbiamo, purtroppo, potuto chiacchierare e raccontarci molto perché quelli di Gomsiqe, shpejt shpejt, (veloce veloce) sono dovuti rientrare a casa.
Ecco, questo è stato un po’ il “nostro 15”.
Grazie al Signore per averci chiamato in questa Famiglia.
Grazie per le preghiere che continuano a sostenerci.
Grazie ai più piccoli che ci mostrano la misericordia e il bene che ci vuole il Signore.

Mirupafshim!

Motra Rita e Titti

Da Nicola, nuove scuole in Madagascar

Cari, 
ci tengo veramente tanto che tutti voi possiate leggere questo mio piccolo rapporto a riguardo dell'inaugurazione ufficiale dei 3 asili cattolici ristrutturati a Vohidahy, Madagascar. 


Si, si può proprio definire un "piccolo rapporto" quello che cerco di trasmettervi con queste poche righe, rispetto all'immenso lavoro, all'immensa gioia, alle tantissime emozioni, alle feste infinite che per 3 giorni ci hanno accompagnato su e giù per le valli e i monti e nei villaggi del Comune di Vohidahy, un comune di circa 9.000 abitanti, ancora verdeggiante di foresta naturale e posto all'estremo Est del Distretto di Ambositra. E' qui che per la sua lontananza dalle principali vie di comunicazione e per la difficoltà di accedervi, quasi tutti gli organismi promotori di sviluppo preferiscono tralasciare o si demoralizzano a strada iniziata abbandonando i propri intenti di progetto. "Andate voi, vi diamo la nostra benedizione, ma fino a Vohidahy noi non ci possiamo venire" ci hanno risposto i rappresentanti del DIDEC (Direzione dell'Insegnamento Cattolico di Ambositra) a cui abbiamo portato l'invito per i 3 giorni di inaugurazione. E purtroppo non è potuto venire anche il Vescovo di Ambositra Monsignore Fidelis Rakotonarivo a cui avevo promesso che la gente era pronta ad andarlo a prendere con una portantina se fosse arrivato con la moto all'inizio della strada brutta. Ma ancora più commovente è vedere che veramente la gente di Vohidahy, che non ha mai visto il Vescovo di persona, credeva in un suo arrivo e per questo a riparato la strada fino alla base di Maromandiadove. 
Beh almeno ne abbiamo beneficiato noi di Tsiryparma che per la prima volta abbiamo potuto condurre le moto fino a destinazione!!!! 


Nostra gioia è stato vedere arrivare almeno Padre Arsene, il padre del Distretto, che fino a quel momento conoscevo poco, in quanto non avevamo mai avuto grandi occasioni per incontrarci. 
Un Padre veramente con la P maiuscola, un grande…..è stato veramente impeccabile nel suo compito. Ci aveva preannunciato che sarebbe tornato ad Ambositra, all'incontro mensile dei preti del Distretto, finita la seconda inaugurazione, ma poi è restato con noi fino alla fine e oltre a portare la Parola di Dio a quelle persone, durante le prediche, si è addentrato in sensibilizzazioni di ogni tipo sull'importanza dell'insegnamento, sull'importanza del matrimonio, sull'importanza di costruire gabinetti, sul valore della foresta, sull'importanza dell'igiene, di bere acqua pulita e abbiamo raggiunto, noi di Tsiryparma, le tre insegnanti e Padre Arsene una sintonia veramente positiva e coinvolgente…

Anche queste 3 insegnanti, giovani, timide e carine ma che purtroppo dubitavo che avrebbero potuto resistere all'impatto "forte" di un posto come Vohidahy, hanno risposto in modo positivo, sempre con il sorriso sulle labbra, hanno indossato i loro grembiulini bianchi, hanno preso per mano i loro 30 bambini, molti dei quali con le lacrime agli occhi e di grida per il timore di essere portati lontano dai loro genitori, e si sono messe a cantare e a ballare come se fossero state li da una vita…..sono arrivate a Vohidahy con il loro sacco e le loro pentole e si sono installate nelle 3 capanne che la comunità locale gli ha messo a disposizione. 

E poi questi bambini, tutti lustrati e profumati per l'occasione, che quando gli abbiamo messo addosso il loro vestitino blu, sembrava che già sapevano del privilegio di cui stavano beneficiando, per diventare più istruiti dei loro genitori che a scuola non sono mai potuti andare. E ad un certo punto non capivi se i bambini fossero i genitori, che dalle finestre delle scuole si accalcavano per guardare i loro figlioletti, che tranquilli e fieri se ne stavano seduti sui loro banchetti fatti su misura, contemplando i muri puliti della loro nuova scuola. 
Una scuola proprio nuova se consideriamo che a Vohidahy gli asili non sono mai esistiti fino ad oggi. Una scuola con mensa due volte alla settimana, i gabinetti, il pozzo per l'acqua potabile, gli orti per produrre ortaggi per le mense ……..e con gli zainetti, le lavagnette, i gessetti, i quaderni, le pentole, l'orologio, i piatti, i bicchieri, i cucchiai e perfino le scope e le palette per spazzare e tenere pulita la classe…..forse troppo, forse no, chi lo può sapere? 
La cosa importante è che questo sia successo e che tutto questo abbia potuto liberare sorrisi di gioia, lacrime, emozioni, nuove mentalità e sentimenti (...)

Un abbraccio.
Nicola







Indelebile come un'impronta!!!


“In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi…”                                                                                                                                                                  Mc 10, 29‐30
Negli ultimi giorni inevitabilmente ho ripensato tanto a quando sono partito per la missione e al periodo prima della partenza e penso che, grazie a Dio, mi abbia cambiato veramente tanto questo anno vissuto qui… vissuto insieme a queste persone… vissuto cercando di ascoltare tanto e possibilmente imparare qualcosa dalle persone che mi stavano intorno e dal Signore che mi parlava attraverso di loro e attraverso i miei limiti e la mia piccolezza.
Ieri ho iniziato il mio giro di saluti prima del rientro, quando sono arrivato a Fianarantsoa alle 16.30 in CdC stavano pregando così mi sono unito a loro e, leggendo il vangelo del giorno, c’era quel bellissimo passo: Mc 10, 29‐30 e sono rimasto stupito (per fortuna ancora mi stupisco di tutte le piccole cose belle che ogni giorno si rivelano) e ho pensato: “già, niente di più vero!!!”.
Non posso che essere sinceramente grato al Signore per questo dono grande che ho ricevuto nella mia vita seguendoLo fin quaggiù. 

Sono tante le case che mi hanno aperto le loro porte accogliendomi e ospitandomi nel migliore dei modi, con una gentilezza ed una generosità che a volte mettono in imbarazzo… sono tanti i fratelli e le sorelle che ho scoperto di avere quaggiù a partire dai bimbi di Fanomezantsoa con cui si è creato uno splendido rapporto, senza dimenticare tutti i missionari e i volontari della missione reggiana con cui ho condiviso qualche passo, infine tutti gli ospiti della Casa della Carità di Maharivo con cui ho condiviso la preghiera quotidiana e tanti sorrisi (e non posso non citare con un ricordo particolare Tahina: il mio “rahalahy gasy”)… sono tante anche le madri, senza offesa per la mia, ma le suore della Casa della Carità ogni giorno da quando sono arrivato mi hanno sempre trattato come un figlio
facendomi sempre sentire amato e coccolato, anche nei momenti difficili… parlare di figli mi sembra presuntuoso, ma non posso non pensare a Clarisse, la dolcissima bimba che vive in CdC e che ho coccolato tanto nel corso di quest’anno… concludendo con i campi che mi hanno dato da mangiare: dal giardino di casa nostra ad Ambositra curato da Ignace e dalle dolcissime Bebè (le nonnine che ogni mercoledì e venerdì mattina vengono a sistemare l’orto); ricordando poi il campo di Fanomezantsoa che abbiamo concimato e poi coltivato patate insieme con i bimbi; infine i terreni di Niry e Manga che abbiamo aiutato, in un momento di difficoltà, a coltivare fagioli. 
Che dire… il Signore non mente ed è decisamente concreto e preciso in ciò che fa e in ciò che dona!

Vorrei quindi salutarvi raccontandovi brevemente di sabato scorso: insieme ai bimbi di Fanomezantsoa abbiamo deciso di dipingere il muro del cortile, così, rulli e pennelli alla mano, ci siamo messi tutti al lavoro: muro giallo e contorno verde, come la casa! Finito di dipingere tutti a pranzo di corsa mentre il sole (con le temperature altissime di mezzogiorno) faceva la sua parte; dopo aver lavato i piatti e sistemato il refettorio ogni bimbo ha pocciato la sua mano nel colore verde e ha lasciato la sua bella impronta.


Volevo raccontarvelo per dirvi che in questo momento il mio cuore è ricoperto allo stesso modo di tantissime belle impronte, tutte colorate, tutte diverse l’una dall’altra… perché il segno che ciascuna
persona incontrata qui ha lasciato sul mio cuore e nella mia vita è qualcosa di unico, di allegro e 
indelebile!!!

Giovanni Aldrovandi