mercoledì 2 dicembre 2015

Un anno di vita in Madagascar

Mi chiamo Giovanni e sono da poco rientrato dopo una anno vissuto in Madagascar, più precisamente ad Ambositra, uno dei posti dove opera la missione della diocesi di Reggio Emilia Guastalla.
Quasi due anni fa ho deciso di partire, finita l’università, per capire cosa significa essere missionario laico, vedere di persona le situazioni di povertà e di bisogno nel sud del mondo, sporcarmi le mani in prima persona e intanto cercare di capire quale fosse la mia strada.
Quando ho deciso di partire, probabilmente con tanta arroganza, ho pensato che sicuramente io potevo “dare” qualcosa a chi era nel bisogno, potevo “fare” qualcosa per gli altri, potevo “aiutare” chi viveva nella povertà… insomma ero sempre io al centro. Per fortuna, quando sono arrivato in Madagascar, mi sono reso conto di essere la persona più inutile del modo: non capivo assolutamente nulla di quello che la gente diceva, non ero minimamente in grado di farmi capire dalle persone, non conoscevo le usanze e le tradizioni locali e nemmeno in Casa della Carità riuscivo a rendermi utile non sapendo le loro abitudini ed il loro modo di fare le cose.


Sono partito da qui leggendo, durante una veglia che avevo organizzato per salutare gli amici del gruppo scout, il passo del vangelo di Matteo che dice “ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”... pensando che era per quello che stavo partendo… mentre una volta arrivato in Madagascar mi è sembrato più che altro di sentirmi dire, come a Pietro, “Va' dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!”.

Quindi, aiutato dai preziosissimi consigli di chi era lì da molto prima che arrivassi io, ho iniziato a provare a “stare” in mezzo alle persone. All’inizio è stato molto faticoso, non si può negare, ma poi pian piano mi son reso conto di come tutti coloro che stavo frequentando si sforzavano per aiutarmi… già io che ero sceso in Madagascar pensando di “aiutare tutti” mi son ritrovato a prender coscienza di quanto a volte sia molto più difficile lasciarsi aiutare piuttosto che aiutare il prossimo.
I malgasci sono così, è una cosa eccezionale e disarmante, quando vedono che puoi aver bisogno, senza che tu chieda nulla, ti si fanno prossimi, ti offrono il loro aiuto e di colpo il tuo problema, la tua difficoltà, diventa anche il loro pensiero per cercare di aiutarti… anche se non ti conoscono, anche se è la prima volta che ti vedono in vita loro, anche se sei straniero. Ci sono diverse lezioni che credo potremmo imparare dai malgasci ed una è proprio questa: il riuscire a guardare attorno a noi, al di fuori di noi, a quelle che possono essere le esigenze di chi ci sta intorno ed offrire il nostro aiuto senza aspettare che ci venga chiesto nulla.

E così mi son lasciato aiutare a prendere pian piano confidenza, ad imparare da loro le abitudini, le tradizioni, il loro modo di fare le cose, ho imparato ad avere pazienza, a non cercare di imporre il mio modo di pensare e di agire nella convinzione che tutto debba seguire una determinata logica che per me era cosa ovvia (e questo è stato parecchio difficile vista la mia immensa testardaggine), ma al contrario mettermi ad osservare ed ascoltare anche quando sembra non esserci un senso.

Un’altra lezione bella che si apprende in Madagascar è quella dell’essere sempre e perennemente in ritardo, è una cosa che personalmente mi ha sempre dato un enorme fastidio e anche là della pazienza ne ho consumata un bel po’ prima di iniziare a capire. I malgasci sono sempre in ritardo, ma non come noi qui che fino all’ultimo secondo siamo impegnati in qualcos’altro che facciamo per noi stessi, i malgasci sono in ritardo perché considerano mancanza di rispetto camminare per strada senza salutare e fermarsi a scambiare due parole con chi si conosce. E penso che sia una differenza sostanziale perché il ritardo non è dato da tempo trattenuto per se, ma al contrario è causato da tempo che viene donato nell’incontro. Forse troppo spesso a noi capita di camminare per strada con la testa bassa a guardarci le punte dei piedi o peggio ancora rivolgendo le nostre attenzioni unicamente al cellulare che teniamo in mano senza renderci conto di chi ci cammina di fianco o evitiamo di salutare qualcuno per paura di disturbare o per paura che ci tocchi fermarci a scambiare due parole e non ne abbiamo voglia. Forse arrivare in ritardo non è poi così male se ci si guadagna nell’essere persone più socievoli.






Ciò che ho ricevuto in quest’anno trascorso in missione è di gran lunga più abbondante di quel poco che forse sono riuscito a dare io a coloro che ho avuto la fortuna di incontrare... è una frase che tutti quanti ripetono ma è anche la cosa più vera che si possa dire.

È stato un dono veramente grande per me questa chiamata a partire come missionario laico a condividere un pezzo di strada con tante splendide persone che ho incontrato in Madagascar, anche con gli altri fratelli e sorelle della famiglia dei missionari e volontari reggiani, che è ben numerosa e si compone di varie figure, diverse e complementari nel modo di vivere la missione.
Sono grato al Signore per ogni singolo incontro, perché ciascuno mi ha lasciato tanto e credo mi abbia insegnato qualcosa: qualcosa che spero di riuscire a custodire per farne tesoro nella mia vita.

Anche se l’approccio non è sempre stato facile, ho ricevuto molto dai tanti poveri che ogni giorno hanno suonato alla campanella di casa chiedendo prima di tutto di essere ascoltati e poi di essere aiutati nella difficoltà che stavano attraversando. Ho ricevuto tanto dalle suore e dagli ospiti della casa della carità di Maharivo, a due passi da casa volontari, che mi hanno sempre accolto, aiutato e guidato con grande affetto e mi hanno fatto veramente sentire a casa e parte di una splendida famiglia condividendo con me ogni cosa. Ho ricevuto veramente tanto dai numerosi bambini con cui ho trascorso le mie giornate in missione: dai bimbi in cura presso l’Akanin’ny Marary con i quali abbiamo fatto tante chiacchiere per cercare di conoscerci e di guadagnare piano piano un po’ di fiducia da parte loro; ai bimbi di Maharivo, il quartiere di Ambositra in cui abitavo, bimbi spesso poveri che non hanno niente e che non hanno la possibilità di studiare, ma che con grande gioia e splendidi sorrisi mi seguivano per fare qualche attività e un po’ di giochi insieme; i bimbi con disabilità mentale che frequentano le classi integrate all’interno della scuola pubblica di Ambositra e le loro insegnanti con i quali ho lavorato in merito al progetto di RTM sulla salute mentale, con qualche difficoltà nel riuscire a collaborare su una linea condivisa insieme alle insegnanti, ma con la gioia di raggiungere buoni risultati per gli studenti; e per concludere i bimbi che vivono nella casa/comunità di Fanomezantsoa in quanto i loro genitori, o l’unico genitore, sono detenuti in carcere… a Fanomezantsoa ho lasciato il mio cuore, costruendo, settimana dopo settima, un forte legame con ciascuno dei 14 giovani che ci vivono e con Mme Bako e suor Julie che se ne prendono cura…

Fanomezantsoa  in malgascio vuol dire “un dono grande” e credo nn ci sia parola più adatta a descrivere ciò che è stata per me questa missione.

Giovanni Aldrovandi

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