martedì 30 agosto 2016

Quando il dottore è una sorella

Vado regolarmente in Congo da anni, nelle regioni dell’Est, quelle pericolose per una guerra che ha causato almeno 8 milioni di morti sul territorio. Guerra non etnica ma economica, per appropriarsi delle terre spaventosamente ricche di minerali preziosi. 
Ma questa è un’altra storia, non la solita lezioncina sui minerali  ma la storia di una grazia che mi è stata data quest’estate, appena arrivata nel Kivu.  

Arriviamo (siamo in 3, nel nostro gruppetto di viaggio) il 15 luglio pomeriggio a Goma, capoluogo del Nord Kivu. Siamo ospiti delle Piccole Figlie, congregazione di suore che hanno la casa madre a Parma.
La domenica sera, il 17, durante i vespri tutte le suore, a turno, pregano in suffragio di Marie-Jo. Conosco una Marie-Jo, medico all’ospedale di Ciriri, a Bukavu (capoluogo del  Sud Kivu), e scopro che preghiamo per lei, morta nella notte in Francia. Mi spiace ma penso anche che tutto si concluda con le espressioni dovute di cordoglio.
Lunedì viaggiamo verso Bukavu, gli amici ci accolgono con il solito calore e ci raccontano che è morta Marie Jo.
I giorni successivi, fino alla celebrazione in suffragio del venerdì mattina, sono un racconto dietro l’altro sulla vita ed i meriti di Marie-Jo. Scopro che il medico, chirurgo ortopedico, era in Congo da 37 anni, dopo aver lavorato in Vietnam durante la famosa guerra. Scopro che era a Kikwit (la città più colpita) durante la prima epidemia del virus Ebola, e non ha abbandonato l’ospedale ma è una dei pochi sopravvissuti .
Scopro che la gente è triste, davvero triste…

Chi racconta che Marie-Jo l’ha curata gratuitamente, chi, militare, ringrazia Marie-Jo che gli ha salvato una gamba da amputare…
Era una missionaria Marie-Jo, 
una laica consacrata, una francese, un medico. 
Il suo nome completo era Marie-Jo Bonnet. 
Era in Francia per un periodo di vacanza, per accudire la madre centenaria.

La messa di suffragio del venerdì mi ha segnato tanto. 
Ho scoperto che la donna modesta, che abitava in ospedale, che avevo incontrato più volte, aveva alle spalle una storia eroica di amore e dedizione verso i congolesi. 
Non ha abbandonato l’ospedale durante Ebola né durante la guerra…

La Messa, molti preti, 
anche Padre Nicola, saveriano, 
il Vescovo Maroy che presiede la celebrazione, non rendono l’idea della partecipazione popolare alla preghiera, 
della donnina evidentemente molto povera seduta davanti a me e che  ci chiede (siamo bianchi, quindi torniamo in Europa) di portare una sua lettera sulla tomba del dottore, che l’aveva curata benissimo e gratis.
Grande raccoglimento, la corale delle feste, preghiera e testimonianze… 
Io sento su di me la responsabilità storica (anche della storia contemporanea) dell’Europa che causa grandi sofferenze alla gente del Kivu, ma colgo l’amore nei confronti di Marie Jo, profondo, grato. Resto lì, intontita ed ancora una volta debitrice della grazia di aver potuto esserci, in un momento triste per la regione tutta, e per aver ricevuto testimonianza di quanto l’amore resta anche se sei dell’etnia peggiore… 
 di quanto Dio parla in una sala operatoria.
Grazie dottor Marie-Jo
Grazie congolesi del Kivu

Donata

lunedì 29 agosto 2016

GMG - Viaggio di una pellegrina

Pubblichiamo senza correzioni, in originale, lo scritto di una ragazza brasiliana della diocesi di Ruy Barbosa che, insieme agli altri ed agli italiani, ha vissuto la Giornata Mondiale della Gioventù in Polonia.

Sono Mirele Maiane, ho 17 anni e abito in Brasile, nel comune di Lajedinho, parrocchia della diocese di Ruy Barbosa, e vivere questa esperienza della Giornata Mondiale della Gioventù è stato come rinnovarmi novamente, per i semplici gesti, per le parole símplice e per la simplicità...dell’avere vissuto tutto questo. Quando sono stata chiamata per participare della GMG, mai avrei pensato che potessi apprendere in quella esperienza, il bello della vita. Per prima cosa, quando sono arrivata in Italia, sono stata accolta come se già mi conoscessero, così anche in Polonia, e questo cambiò la mia idea di pensare, perchè lasciando il Brasile non mi aspettavo questo tipo di accoglienza, e dovetti cambiare totalmente questo mio modo di pensare. Visitammo molti luoghi, ma quello che più mi chiamò attenzione, visitando il campo di concentramento di Auschwitz, non furono le cose che ho visto, ma quello che mi hanno raccontato di ciò che è sucesso là dentro, la tristezza del vedere come qualcuno avesse potuto fare tutto quel male, ma nello stesso tempo sono riuscita a uscire dal campo con uno sguardo misericordioso, perchè ho saputo delle azioni che varie persone che si donarono per rendere più umano quel luogo; in modo perticolare mi ha impressionato la storia di Massimiliano Kolbe, frate franciscano che ha donato la vita per salvare un’altra persona.
Questo mi ha fato riflettere sul come anche noi dobbiamo essere misericordiosi, dobbiamo guardare tutta la nostra realtà con lo sgurdo di Dio.
(Bem aventurados os misericordiosos, porque eles alcançarão misericórdia......Beati i misericordiosi, perchè raggiungeranno la misericórdia. E’ il ritornello dell’inno della GMG in portoghese)

I giorni passavano e ogni luogo in cui passavo, rimanevo impressionata davanti alle tante culture, costume...e arrivando il giorno in cui giovani di tutto il mondo si incontrarono per riflettere insieme, mi diede una grande gioia. Mi ha fatto molto pensare la frase che Papa Francesco ha detto, ricordando Giovanni Paolo II, cioé che “nel mondo dobbiamo costruire ponti e non barriere”. Ponti perchè io possa incontrare il mio fratello non muri che mi impediscono di camminare insieme con il mio fratello.

Un’altra frase che ha detto papa Francesco e che mi ha molto colpito, e che tocca  molto spesso quello che viviamo, noi Giovani, nelle nostre giornate, é stata questa:“alzatevi dal sofá, mettete i sandali ai piedi e uscite ad annunciare il vangelo”. Non possiamo come Giovani essere accomodati, pantofolai, ma dobbiamo vivere la realtà con gli occhi di Cristo, come ancora papa Francesco ci disse:“non dobbiamo confondere la felicita con il sofá”

Questa è stata la maggiore esperienza che ho vissuto nella mia vita, c’è stato un inizio , ma tutto quello che ho vissuto in questo tempo  lo porterò sempre con me, non può esserci una fine, perché le cose visto e esperimentato non le dimenticherò mai. E’ stata la mia prima GMG di molte che spero vivere, per potere apprendere e potere trasmettere agli altri Giovani miei amici, tutto quello che ho vissuto e que vivrò.

Il viaggio di Marzia in Albania


Ringrazio il Centro Missionario per avermi dato l'occasione di incontrare e conoscere la chiesa della diocesi di Sapa.


Prima di partire ho letto gli scritti di don Luigi Gugliemi dove racconta l'inizio della nostra presenza e anche qualche libro/testimonianza sulla chiesa durante il comunismo di E. Hoxha; ciò che mi ha colpito è stata il legame con la chiesa sorella in Rwanda e il progetto Amahoro.
Albania prima e Rwanda poi uscivano da violenze inumane e la scelta fu di ripartire dai più piccoli, e come richiesto dai locali di portare e far conoscere il Vangelo: "veniteci a parlare di Dio!"; è stata la richiesta che colpì la nostra chiesa concentrata sulle opere e sul fare.
La nostra presenza nella diocesi di Sapa accompagna una chiesa sorella a proseguire un cammino che ha bisogno di tanta speranza (lettera di don Luigi, 20.2.1993)






Le difficoltà non mancano perchè la zona dove siamo continua a spopolarsi; i giovani ambiscono ad andarsene per cercare fortuna altrove; la diocesi è in attesa del nuovo Vescovo e sono ancora poche le vocazioni albanesi; la Casa di Carità è segno e con piccoli passi tenta di far riscoprire il senso vero del volontariato.
Il mese di luglio le attività parrocchiali sono sospese e l'attenzione di Don Stefano e Laura è per i bambini e ragazzi che non hanno scuola e per i quali si organizzano orsi di italiano e chitarra per continuare a stare vicini.
Gocce di speranza:
- la Casa di Carità, con suor Rita e Suor Grazia, ha volontariato tra le signore, tra i ragazzi e le ragazze ed è meta di visite da parte di gruppi che vogliono conoscere questa famiglia così particolare;
- prima della S. Messa in chiesa si recita o canta il rosario, arma usata negli anni del comunismo che ha tenuta viva la fede di tante persone;
- la canonica di Gomisqe che da luogo di detenzione è diventato luogo di evangelizzazione;
- gite al mare per i disabili accompagnati dai familiari organizzati dalla Caritas;
- tutto parla della presenza di Dio, di Dio che ha vegliato e veglia su questo popolo.

Lo scambio tra chiese sorelle, dono inestimabile per la nostra diocesi, forse non ci aiuterà a cambiare la pastorale, ma potrà sostenerci nel cammino di conversione che anche noi stiamo compiendo; anche noi oggi siamo una chiesa che ha bisogno di riprendere forza e speranza, ha bisogno di coraggio per fronteggiare le sfide culturali che vogliono annientare l'umanità delle persone; che deve partire sempre dai più poveri e migranti; una chiesa che con umiltà può imparare che cosa è la FEDE e chiedere "venite a parlarci di DIO!".

Con gratitudine.

Marzia

giovedì 25 agosto 2016

Chiese Sorelle

Ringrazio il Centro Missionario per avermi dato l'occasione di incontrare e conoscere la chiesa della diocesi di Sapa.

Prima di partire ho letto gli scritti di don Luigi Gugliemi dove racconta l'inizio della nostra presenza e anche qualche libro/testimonianza sulla chiesa durante il comunismo di E. Hoxha; ciò che mi ha colpito è stata il legame con la chiesa sorella in Rwanda e il progetto Amahoro.

Albania prima e Rwanda poi uscivano da violenze inumane e la scelta fu di ripartire dai più piccoli, e come richiesto dai locali di portare e far conoscere il Vangelo: "veniteci a parlare di Dio!" è stata la richiesta che colpì la nostra chiesa concentrata sulle opere e sul fare.

La nostra presenza nella diocesi di Sapa accompagna una chiesa sorella a proseguire un cammino che ha bisogno di tanta speranza (lettera di don Luigi, 20.2.1993)

Le difficoltà non mancano perchè la zona dove siamo continua a spopolarsi; i giovani ambiscono ad andarsene per cercare fortuna altrove; la diocesi è in attesa del nuovo Vescovo e sono ancora poche le vocazioni albanesi; la Casa di Carità è segno e con piccoli passi tenta di far riscoprire il senso vero del volontariato.
Selfie con Laura, Don Stefano, Marzia e (sotto) Vilma

Il mese di luglio le attività parrocchiali sono sospese e l'attenzione di don Stefano e Laura è per i bambini e ragazzi che non hanno scuola e per i quali si organizzano corsi di italiano e chitarra per continuare a star loro vicini. Li aiutano Vilma e Benito, due ragazzi locali che si danno molto da fare.

Gocce di speranza:
- la Casa di Carità, con suor Rita e Suor Grazia, ha volontariato tra le signore, tra i ragazzi e le ragazze ed è meta di visite da parte di gruppi che vogliono conoscere questa famiglia così particolare;

il simbolo dei tre pani impresso nei muri della Casa della Carità
- prima della S. Messa in chiesa si recita o canta il rosario, arma usata negli anni del comunismo che ha tenuta viva la fede di tante persone;

- la canonica di Gomisqe che da luogo di detenzione è diventato luogo di evangelizzazione;

La casa della missione, durante il regime luogo di detenzione
- gite al mare per i disabili accompagnati dai familiari organizzati dalla Caritas;

- tutto parla della presenza di Dio, di Dio che ha vegliato e veglia su questo popolo. Lo scambio tra chiese sorelle, dono inestimabile per la nostra diocesi, forse non ci aiuterà a cambiare la pastorale, ma potrà sostenerci nel cammino di conversione che anche noi stiamo compiendo; anche noi oggi siamo una chiesa che ha bisogno di riprendere forza e speranza, ha bisogno di coraggio per fronteggiare le sfide culturali che vogliono annientare l'umanità delle persone; che deve partire sempre dai più poveri e migranti; una chiesa che con umiltà può imparare che cosa è la FEDE e chiedere "venite a parlarci di DIO!".

Con gratitudine.

   Marzia

lunedì 22 agosto 2016

Tutta l'Africa è...

Abbiamo intervistato brevemente Angela Morlini, volontaria veterana del Centro Missionario Diocesano, questa estate è partita per il Mozambico, dove sua nipote Silvia sta svolgendo il Servizio Civile Internazionale con la Caritas di Roma.

Silvia Cattani di Massenzatico, da quasi un anno in Mozambico con Caritas Roma
Le abbiamo chiesto cosa ha portato a casa da questo viaggio.

Ci racconta di Silvia, che è in Mozambico ormai da quasi un anno. Abita a Maputo, la capitale, in un quartiere periferico. Si occupa di doposcuola ai bambini ed appoggia una casa famiglia dove sono ospitati bambini in difficoltà; nel tempo libero si riempie di attività. Tutte le mattine saluta i suoi vicini di casa e la gente che staziona sulla strada che percorre, conosce molti e molti la conoscono. La custodiscono, le chiedono informazioni sulla salute, sul lavoro, sulla cena…

Sorridono. La gente sorride, ti saluta e sorride. Non siamo più abituati, qui in Italia, al sorriso gratuito. Ad esternare la gioia. La gente è socievole. Non hai tempo per soffrire la solitudine.

Anche nell’isola che Silvia ha fatto visitare ad Angela c’è vita, gioia. Nell’albergo sono tutti gentili, e non solo perché i bianchi pagano bene, proprio per quell’attenzione africana all’ospite perché si senta a suo agio in ogni particolare.

Questo ha piacevolmente stupito Angela, l’intensità delle relazioni più che i panorami, i colori, la vivacità dei luoghi.

Tutta l'Africa è... ricca di sorrisi e accoglienza, nonostante le difficoltà! 

Meditiamo.

Ruy Barbosa: E' pieno di vita!

Ruy Barbosa, 15 agosto 2016

Faccio un po' fatica a mettere in fila le idee per descrivere il Brasile. Anche se sono qua da solo un mese mi sento talmente piena di emozioni ed esperienze vissute che non so davvero da dove iniziare.

Sono partita perché volevo allargare i miei orizzonti e in fatto di orizzonti qua non si scherza. Il Brasile è una terra sconfinata che mi mette molto in soggezione perché mi sento piccola e inutile davanti a tutta questa bellezza.

E non sto parlando solo delle bellezze naturali, ma anche della ricchezza che trovo in ogni persona che incontro e nelle relazioni che cerco di costruire.

Due mesi sono davvero pochissimi, ma questa consapevolezza mi sprona a dare il meglio per vivere pienamente questo tempo davvero di grazia che mi è stato regalato.

Sara con alcuni bimbi
Innanzi tutto l'essere bianca, con i capelli lisci e parlare una lingua strana a volte mi mette davvero in difficoltà. Sono i bambini, che se ti devono dire una cosa non ci pensano due volte, a sottolinearmelo ogni giorno. Qua nel bairro (quartiere) sono diventata la mascotte e non so come, ma ogni giorno spunta un bambino nuovo che mi corre incontro chiamandomi per nome. Sono proprio i bimbi che mi aiutano a distruggere un po' quelle barriere che inevitabilmente si creano tra me e loro e a volte si siedono di fianco a me provando a insegnarmi qualche parola in portoghese. Qua a otto anni le bimbe sono già donne, in certe cose sono molto più avanti di quelle europee.

Si avverte però una cosa: spesso manca la solidità di una famiglia unita alle spalle perché spesso i papà non ci sono, oppure hanno altre donne e la mamma ha un sacco di figli dei quali fatica a prendersi cura vista anche la povertà nella quale alcune famiglie vivono. Secondo me parte proprio da qua il grande abisso che c'è tra la nostra e la loro cultura. 

Sono sempre i bambini che con le loro domande a volte mi fanno morire dal ridere. La settimana scorsa sono andata a Miguel Calmon che dista circa due ore da Ruy Barbosa a casa di Gianluca, un missionario reggiano che vive con sua moglie e i suoi figli, in uno dei quartieri più poveri della città. Una sera eravamo seduti davanti alla porta e sono arrivati tutti i bimbi della via a giocare davanti a casa. Inevitabilmente sono scattate un sacco di domande sul mio conto e ad un certo punto un bimbo mi ha chiesto se in Italia ci si va in omnibus, e quando ho risposto che si deve prendere l'aereo perché è molto lontano, hanno spalancato gli occhi e hanno detto: “ma voli nel cielo!”.
Sul momento mi sono messa a ridere, ma ripensandoci questo mi dice molto sulla loro concezione del mondo e delle distanze...

Un'altra cosa che mi ha subito colpito del Brasile è la fede della gente. É una fede concreta, che non ha bisogno di discorsi astratti e non si limita alla messa di domenica. È una fede che si basa sulla venerazione di luoghi, come grotte e santuari, e di simboli, come statuette o croci al collo e al polso. Non mi dimenticherò mai le messe brasiliane della domenica... molto cantate e danzate, accompagnate da tutta l'assemblea con battiti e gesti delle mani. È molto significativa anche la presenza di un sacco di chiese diverse anche nella stessa strada a volte. Evangelici, Battisti e protestanti di ogni tipo... è il segno di una chiesa varia ma unita.

Beh, adesso ci manca un mese quindi mi devo mettere in gioco per godere di tutte queste cose fino all'ultimo secondo...

“Tutti quanti presi da qualcosa di importante
Che non è importante per niente!
Siamo indaffarati a cancellare le impronte
Della nostra vita precedente ...
...Non è mica vero che tristezza ed allegria
Son distribuite in modo uguale...
...Un ricordo che brucia ancora
Perché è pieno di vita, è pieno di vita
È pieno di vita” (Jovanotti)

Sperando di portare a casa ciò che è importante veramente, ringrazio il Signore per questa opportunità e vi abbraccio forte!! a prestissimoooo!

Sara

Se dovessi definirlo in una sola parola userei... Travolgente!

Questo è il Rwanda che mi ha accolta ormai già più di due settimane fa.
Atterrata a Kigali (la capitale), una delle prime cose che mi hanno detto è stata : "qui non è ancora Africa, vedrai..."
Accolta a Kabarondo da Arieti

Ed io che pensavo di essere finalmente arrivata, viaggiando verso Bare ed una volta arrivata mi accorgo che si, ora sono in Africa!!!! Terra rossa, cielo azzurro, campi e campi di banani, la camera con vista sulle mucche, le persone per le strade, i bimbi in divisa che vanno a scuola...

Per qualche giorno continuo a ripetermi che è tutto nuovo, tutto cosi diverso, la lingua cosi difficile....eppure, eppure in un qualche modo mi sento già a casa.

Dalla finestra della camera alla Casa di Bare
Questo grazie alle persone che ho incontrato fino ad ora, che ho salutato, abbracciato, a cui ho stretto la mano e con cui ho sorriso.. poche, pochissime parole ma tanti gesti e sguardi che parlano. I giorni passano in fretta e comincio ad entrare nel ritmo della casa, a conoscere gli ospiti, i volontari e le responsabili.

Una foto rubata
Padre Viateur (che ho rincontrato in Rwanda dopo averlo avuto per 2 anni nella mia parrocchia a Sassuolo), qualche giorno fa mi ha detto : "questa è una grande scuola".

Si, questo posto sembra insegnare davvero la semplicità, l'autenticità, l'accoglienza... si impara a vivere la giornata, a ringraziare per quello che ci succede e a dedicarsi fino in fondo al presente!

Passeremo (io e la Mauri, che non ha bisogno di presentazioni perchè è, a tutti gli effetti, di casa qui) ancora qualche tempo qui a Bare per poi andare per qualche settimana nelle case di Kabarondo e Mukarange.

Un grande abbraccio a tutti

Giorgia