mercoledì 30 dicembre 2015

Agli amici della EFA - escola familia agricola - di Ruy Barbosa


Stimati amici, 
scrivo questa breve relazione alla fine dell’anno 2015 in un pomeriggio molto caldo.  Fuori ci sono 37° e qui in casa con il ventilatore ce ne sono 32°.

L’estate é arrivata con tutta la sua forza, e la penuria di acqua si fa già sentire nel nostro distretto e nelle zone circostanti. Il governo ha già fatto impiego di autocisterne di acqua per riempire le cisterne già realizzate nei paesi. In questo modo almeno non manca acqua potabile e acqua per i piccoli animali. Qui a Rui Barbosa c’è ancora acqua, ma solo una volta alla settimana per alcune ore. Ogni giorno guardiamo verso il cielo, se magari si preannuncia un temporale, ma finora siamo invitati a sperare e a perseverare. Nella scuola EFA abbiamo ancora l’acqua di sorgente della “montagna di casa“, che rifornisce due grandi cisterne da 100.000 litri l’una. Dio sia lodato, altrimenti avremmo dovuto chiudere la scuola. 154 alunni consumano acqua per la casa, per l’orto e per l’igiene. Sono in atto rigide misure di risparmio di acqua.

Nonostante quest’anno il raccolto di fagioli e mais sia andato bene, non sono mancate le difficoltà. Il governo ha cancellato 20 ore di lezione settimanali alla EFA al nostro direttore Bruno e così manca tempo per l’attività amministrativa, che intanto ha preso adesso in carico il prof. Ernesto. Bruno presterà le 20 ore di lezione nella scuola secondaria superiore del liceo della città. Cosi rimane a Rui Barbosa, ma le trattative vanno avanti, per ottenere che lo riabbiamo indietro a tempo pieno per la EFA. Penso che la crisi di governo abbia determinato questo trasferimento. Mancano i mezzi finanziari per pagare gli insegnanti nelle scuole pubbliche . La nostra EFA è classificata come scuola „particular-comunitaria“ (privata-comunitaria). Sebbene il governo si assume una parte degli stipendi degli insegnanti, viene tagliato sempre prima qui. Ma i progetti in corso con il governo sulla protezione ambientale, nuovi metodi di rimboschimento, ecc. vanno avanti come finora. Le misure di risparmio del governo sono più visibili anche in altre istituzioni, come p. es. nella ex Ematerba (empresa assistencia tecnica extenção rural da Bahia – impresa di assistenza tecnica nelle regioni rurali di Bahia), che ha dovuto cessare il suo lavoro. Purtroppo i molti scandali di corruzione hanno portato a queste misure di risparmio, che ora la popolazione deve sopportare. 


Tutti i 25 alunni della quarta classe (classe conclusiva della maturità) riuscirono ad ottenere il loro diploma e a partecipare alla S. Messa con i loro genitori. Questa classe per ragioni economiche quest’anno non ha organizzato alcuna festa conclusiva di maturità, ma solo una S. Messa insieme ai loro amici e alle famiglie e un pranzo tutti insieme nella EFA. 
Il 4.12.2015 è già iniziata la fase di selezione dei nuovi alunni, con la settimana di prova per 94 candidati, noi però abbiamo solo 60 posti. C’è stata una grande domanda.
Per il 2016 dobbiamo portare avanti innanzitutto le attività svolte finora e sarà anche necessario ingrandire la superficie dei piantoni degli alberi e montare una protezione contro l’irradiazione solare. Gli alunni hanno anche chiesto di poter avere un campo di pallavolo, che è già stato iniziato, ma per mancanza di mezzi finanziari purtroppo non è stato completato; di ciò si sono rammaricate soprattutto le ragazze della EFA, perché erano state loro a fare la richiesta.

Il nostro ringraziamento va ora a tutti coloro che, nonostante la difficile situazione in Europa, ci hanno sostenuto qui nel Nordest del Brasile e forse possono continuare a farlo. 
Fermino e io, Friederike, abbiamo redatto ancora per quest’anno questa relazione di fine anno. Pensiamo però in futuro che pregheremo la direzione della EFA di scrivere da sé la relazione.
Ringraziamo per la collaborazione e per l’opportunità di poter fare ancora qualcosa per il prossimo. Purtroppo sentiamo il peso dell’età ed è anche ora che la gioventù si assuma la propria parte. 

Auguriamo a tutti un Natale benedetto dal Signore, salute e gioia per l’anno prossimo!
In unità, Friederike u. Fermino

Misericordia in costruzione

Ciao a tutti gli amici del CMD, come va?

Spero stiate bene e che la misericordia di Dio, che iniziamo oggi a celebrare (scrive l'8 dicembre ndr) in un modo speciale in quest’anno giubilare, vi sostenga e vi rafforzi.
Sono qui agli esercizi spirituali insieme all’equipe missionaria, sono arrivato questa mattina ma mi sento già di poter dire che il clima è positivo. 

il cantiere
l'inizio dei lavori









Le novità della chiesa ve le racconteranno don Paolo ed il vescovo Adriano. Abbiamo iniziato i lavori e domenica avremo la posa della prima pietra -  benedetta da Mons. Benjamin il 24 maggio 2014!, con don Gabriele Carlotti presente – a incoraggiamento dei cristiani per portare a compimento quest’opera… che Qualcuno ha iniziato.


A questo proposito vi mando un regalo, la maglietta che il Comitato Fanorenana ha fatto per autofinanziamento. Se pensate ne servano di più da regalare ai benefattori o altro (venderle lì?) fate sapere.
Intanto vi saluto
Don Giovanni Ruozzi 

giovedì 17 dicembre 2015

A voi che portate nel cuore i vissuti di tanti rwandesi...

Avvento  -  11 dicembre 2015

Carissimi tutti, ciao!
È avvento,  è attesa,  è misericordia,  è eredità magnifica,  è … ”...la sapienza è stata riconosciuta giusta  per le opere che essa compie” (Mt.)

Ecco quello che la liturgia ci propone anche quest’anno.
Per  riannodare i fili  nella misteriosa trama delle nostre vite che si intrecciano…
La lontananza che poi diventa vicinanza, la presenza nel ricordo, nella memoria…
Il contatto e lo sguardo che si alternano, adesso qui, domani là …

Ma è sempre il suo abbraccio eucaristico, questo essere unico corpo che ci dà forza e ci sostiene.
Ormai sono rientrata da due mesi, ma porto ancora “freschi”  i saluti, gli auguri, i ringraziamenti di tutti i fratelli e le sorelle delle tre Case Amahoro, delle parrocchie e della diocesi tutta di Kibungo, compreso il Vescovo Antoine.

Oggi ci viene fatta questa promessa   “ (se avessi prestato attenzione ai miei comandi) .. il tuo benessere sarebbe come  un fiume, la tua giustizia come le onde del mare ..”(Is.)  e questo  vuole essere anche il nostro augurio per tutti voi che portate nel cuore i vissuti di tanti rwandesi.

Grazie di cuore e buon Natale!

                                            Maurizia   

Alcuni momenti di quest'anno passato nella condivisione:
battesimo di Johani, ottobre 2015 – Kabarondo
Evaristi, Emanueli, Mussa, Esterya, Igiro e Muze Patrik, agosto 2015 – Mukarange
Immaculate, agosto 2015 - Bare



mercoledì 16 dicembre 2015

Lettera di Natale da Jandira


Carissimi amici e amiche,
                  non so da quanto tempo è che scrivo una lettera di Natale...
Ho cominciato quando ero in seminario, per scrivere alla famiglia, dato che non ci era concesso “uscire”, neanche per Natale... Poi ho cominciato a scrivere dal Brasile, visto che la distanza non mi concedeva la possibilità di venire in Italia. Cioè, essendo entrato in seminario a 10 anni, è veramente da tanto tempo che scrivo lettere di Natale... ma è sempre un momento nuovo, qualcosa che nasce, che dà una nuova speranza alla vita. È vero che qui in Brasile la situazione è molto confusa e buia: ci sono alti funzionari di Stato, di banche e di Governo sotto inchiesta o in prigione per corruzione e latrocinio..., imprese nazionali e multinazionali in tribunale per rispondere al più grande disastro umano e ambientale causato da un sistema fraudatorio e criminoso di estrazione di minerali dalle montagne di Minas Gerais. Una frana colossale che ha  sfondato una diga ed ha gettato fuori dal lago una quantità enorme di acqua e fango che ha inondato la valle sottostante fino al mare, per oltre 800 km, causando morte e distruzione: non solo per l'alluvione, ma soprattutto per i prodotti tossici impregnati nel fango.


L'economia va male perché l'industria si è fermata, ritraendosi del 2­3% all'anno. Chi è in crescita è “l'​agronegocio” (carne, soia, caffè, ecc...), il commercio estero, la disoccupazione e l'inflazione (10%).                    
Dentro al parlamento, da oltre un anno si discute di come fare cadere ​la Presidenta Dilma: giornali, radio, televisione..., tanti contro Dilma, dalla mattina alla sera, sabato e domenica! Beh, ora hanno cominciato anche un processo di ​impeachmen, capeggiato dal presidente della Camera, ladro patentato e internazionale, con vari conti di milioni di dollari nelle banche svizzere... (e pastore evangelico...).
                  
Dilma è una donna onesta e capace, fin da giovane ha militato a favore della democrazia, e durante la dittatura militare è stata imprigionata e torturata, ed ha sempre creduto in un governo sensibile verso i più poveri. Purtroppo però tutti i paesi del BRICS sono in difficoltà, e nel frattempo in America Latina la destra si è ripresa l'Argentina e il Venezuela, ed ora tocca al Brasile, anche se per “l'impero” la paura è quella che Lula possa essere nuovamente candidato dopo Dilma, con la possibilità di avere altri 8  anni di “centro­sinistra”.
Questo rapido sguardo al Brasile che comanda, mi fa venire in mente il Vangelo: mentre governavano l'Imperatore Cesare, Ponzio Pilato, Caifa..., nel deserto, ai margini, sconosciuto, fuori dal mondo, Giovanni (o Francesco) si muoveva in modo diverso... “Prepariamoci, via tutto quello che non serve, che ci appesantisce, che non ci lascia liberi. Entriamo nel cammino del Regno di Dio, che ci porta a nuovi Cieli e nuove Terre...” Insomma, il Messia ci dice che un altro mondo è possibile.


Qui, a Jandira, viviamo questa utopia, specialmente con i bambini, con la favela, con i Senza­Terra...
La “​Sonia”, è contenta della sua baracca in mezzo alle altre 200 baracche della “​Favela del Cardoso”.  “Non sono il capo”, dice, “ma quando qualcuno ha bisogno viene da me ed io provo ad aiutare come posso”. È una donna sposata, ha cinque figli, e tanti nipoti e nipotini... tutti belli e vivaci come la nonna. “Non ci interessa la classica casa in muratura, cinque metri di terra per noi sono già sufficienti per fare la nostra baracca”. Anche Giuseppe e Maria (​sic) hanno da poco una baracca così, di 5 metri, costruita giusto in tempo che nascesse il loro bambino...(Gesù...?). Quanti bambini, nella favela, nelle strade, nei mercati. Quante mamme che chiedono di accogliere il loro bambino nei nostri asili.                          

Accogliamo già più di 700 bambini, e il prossimo anno ne avremo 900, forse 1000. Il Comune di Jandira è economicamente fallito (non chiedetemi il perché) e ci ha chiesto aiuto nell'assistenza ai bambini. È vero che..., ma il bambino non ha colpa, è colui che è abbandonato, è nostro!
Vorrei terminare parlandovi di Josè Perninha, quello che non era pescatore, ma abitava sulla strada, dalla prigione alla strada, dall'accampamento dei senza terra allo sfratto, e poi un altro sfratto. Allora l'ho chiamato a vivere a casa mia: “Ma non disturbo?” mi disse... “Proviamo!”. Abituato a bere e ubriacarsi, ora beve quel bicchiere di vino che gli do a pasto... Il mio studio (io non studio più...) è diventato il suo appartamento. Durante il giorno va da un asilo all'altro, come volontario, per sistemare una porta, una finestra, un rubinetto, un bagno, pitturare, fa il muratore, fa di tutto e bene. I bambini lo adorano e lo abbracciano: “lo zio Zè è arrivato!”, e le cuoche hanno sempre qualcosa di speciale per lui.              
             

Arriva a casa contento..., l'altro giorno l'avevano chiamato a lavorare in una impresa come muratore, ma lui ha detto di no: “perché?”, chiesi. “Perché dovrei lavorare per loro?” “Ti pagano”, dissi. “Ma chi ci guadagna di più sono loro...” Mi viene in mente un certo “​plus” del vecchio Marx, ma sorvolo e replico: “Certo, ma tu potresti mettere via un po' di soldi per te!” Lui ride e dice: “Sono sempre vissuto senza soldi, e quando li ho avuti li ho spesi male, e mi hanno portato solo danni...
Mi piace la vita così come è oggi: andare agli asili, aiutare, fare del bene..., la gioia più grande è sentire l'abbraccio dei bambini e ricevere una “marmitta” piena di cibo offerta con amore dalla cuoca...”
Beh, penso che Papa Francesco incammini il Giubileo della misericordia verso questa gente, gli ultimi, gli scartati, i cacciati, i rifugiati..., della Chiesa, dell'Europa, del Mondo... avere un cuore capace di accogliere: solidale e misericordioso...! Non come il Palazzo di Erode o Sommo Sacerdote che sia, ma come la grotta di Betlemme, o la ​Favela del Cardoso.

Auguri di Buon Natale, vostro amico e fratello
                                                                   Gianchi

NB: Una ultima parola: grazie a tutti, in modo particolare a voi delle “adozioni a distanza”, che permettono alla Caritas San Francisco di accogliere tanti bambini ed essere vicini ai più poveri di Jandira, come la ​Favela del Cardoso.
​Un altro grazie al Centro Missionario Diocesano e agli amici della cena di Borea: già stiamo avviando l'orto comunitario urbano che guiderà gli orticelli dei bambini in ogni asilo; tutto biologico! Grazie!
Buon natale ed un bacione da tutti i “nostri” bambini, e Buon Anno!
Venite a trovarci..

Saluti e ringraziamenti senza fraintendimenti

Gomsiqe Jakaj, 8 dicembre 2015

Potremmo parlarvi dell’Albania, (E ce ne sarebbe da dire! Specialmente ci sarebbe da "gridare" un grazie speciale a chi continua a sostenerci e a pregare per noi) ma diamine… un po’ di poesia!

In questo santo tempo di Avvento,
con tanta gioia e sentimento,
Scriviamo tutti insieme un ringraziamento!

Con stupore e riconoscenza
Vogliamo or ora chiedere licenza
Di poter scrivere così; oh! in escandescenza!

Sale sale il canto di Natale
Scende scende fino a Betlemme
Il bene sommo che ci prende.

Con potenza vogliamo dire Grazie a non finire
A tutti coloro da allora fino ad ora
Rendono possibile il “ti Adora”

Al bambino che nasce e giace nelle fasce
Ricordiamo tutti voi amici e benefattori
Che Lui vi benedica e vi ristori!

Grazie e ossequi!

Don Stefano, Laura e Samuele                                


Don Stefano al catechismo a Gomsiqe Eperme
Il materiale per la produzione
del presepe che ogni bambino
poi porterà a casa
I bambini colorano e costruiscono il presepe

mercoledì 2 dicembre 2015

Le prime immagini dalla missione

Non so bene cosa raccontare, ci sarebbero tante cose da dire ma  vorrei che  ognuno di voi potesse immaginare come è il Madagascar… Vi darò qualche spunto..

La terra non è marrone ma è rossa, i paesaggi cambiano spesso, si passa da un paesaggio di collina, a un paesaggio di pianura con risaie. Il clima è mite con un sole non troppo forte ma che viene spazzato via dalle nuvole per far posto ai famosi acquazzoni africani che durano 10 minuti e, come niente fosse, subito dopo ritorna il sole .
La popolazione del Madagascar è composta da varie etnie e da varie religioni, i bambini sono sempre pronti ad urlare “Vasa” al primo bianco che incontrano oppure a chiedere “Bombon” per poi scappare via.

Cercherò di non annoiarvi con quello che vi voglio raccontare, ma sono semplicemente alcune piccole riflessioni dopo quasi un mese dal mio arrivo ad Ambositra.

“ La straniera sono io”
Arrivata ad Ambositra  di sabato sera, domenica mattina  sono andata a messa insieme a Don Giovanni che mi ha portato con lui per partecipare alla messa in carcere.  Ecco, non dovete immaginare un carcere italiano perché non ci assomiglia per nulla. Dovete immaginare quattro stanzoni per quattrocento persone. Dentro i quali  durante il giorno si cucina, c’è chi vende qualcosa (frutta, riso pesce, sigarette tutta roba portata dai parenti ai carcerati).
Quando arriva la sera questi stanzoni si trasformano in dormitori senza  letti nè coperte ed essendo così tanti si fa a turno per dormire.  C’è chi dorme sdraiato e chi dorme seduto. Questi stanzoni si affacciano su un campo fatto di polvere, circondato da quattro mura. Alla fine del campo ci sono i bagni, senza porte ( hanno deciso di togliere le porte perché alcuni carcerati le usavano per scappare) e di fronte ai bagni ci sono i lavandini per lavarsi e per lavare le pentole, perché loro stessi devono farsi da mangiare con il cibo che i loro famigliari gli portano.
Oltre ai quattro stanzoni ci sono altre due stanze importanti: la prima è una sorta di “cucina” con due pentoloni dove alcuni carcerati sono addetti alla preparazione del pasto (di uno solo in tutta la giornata composto da riso); la seconda stanza ha varie funzioni: come chiesa, come scuola per alfabetizzazione e come “laboratorio” lavorativo per alcuni carcerati, nel quale vengono create borse, bracciali di feuillrds  e anelli in metallo.
Appena varchi quella porta controllata da guardie, che dà sul campo dove stanno quasi tutti i carcerati tutto il giorno, non passo inosservata, mi sento tutti gli occhi addosso e non so bene cosa fare o cosa dire.
Vengono tutti a salutare il Don e l’unica cosa che dico è “Salama”: tanti , troppi pensieri mi vengono alla testa quando ciascuno di loro viene a stringermi la mano. “Perché è dentro?” “La sua famiglia?” “Avrà ucciso?Oppure rubato?”
La messa inizia in una stanza dove l’umidità sembra schiacciarti, ma che al tempo stesso ti dimentichi di essere in carcere, proprio grazie alla cura con cui gli stessi carcerati hanno preparato la funzione.
I canti e le loro voci sono un qualcosa di magnifico, straordinario, si impegnano tantissimo, tra chi suona il bongo, chi la chitarra e chi la pianola.
In mezzo a loro ci sono anche le donne carcerate che sono una quindicina, sono separate dagli uomini e hanno le loro stanze situate prima del reparto maschile.
Finita la messa il Don si ferma a chiacchierare , a comprare qualche lavoretto fatto da loro, ad ascoltare eventuali problemi e a dare un po’ di riso ai minori, perché in quel carcere ci sono  quasi dieci minori che vivono insieme a tutti gli altri.
Non posso dire che sia dura oppure difficile stare lì dentro, per chi viene da fuori e ci sta giusto il tempo di una Messa, come me.
Sicuramente posso dire che, ora che ho conosciuto questa realtà, il pensiero torna spesso a loro.

“Una domenica tranquilla “

Sono le 18.30 di domenica, noi volontari siamo già tutti a casa, c’è chi sta iniziando a preparare da mangiare e chi fa due chiacchiere in sala sorseggiando una tazza di the, quando ad un certo punto si sente bussare alla porta.
Vado ad aprire e mi trovo davanti una donna con due bimbi di neanche un mese fra le braccia. Dice di venire da Landina che dista 18 km , è venuta a piedi ha camminato tutto il giorno. Ha detto che è da sola, suo marito è scappato poco dopo la nascita dei suoi figli e i suoi genitori sono morti. Decidiamo di accompagnarla all'ospedale che dista pochi metri da casa nostra. Mentre ci incamminiamo verso l’ospedale  chi chiediamo se veramente questa donna ha bisogno d’aiuto oppure vuole abbandonare i suoi figli  ( visto che la tradizione malgascia vuole che venga abbandonato uno dei due gemelli, ritenuti frutto della stregoneria) e andiamo a letto un po’ con queste domande. L’indomani scopriamo che la donna aveva bisogno di latte e che a casa l’attendono altri due figli.  Sono contenta che fosse solo quello il problema e che la mamma non abbia abbandonato i gemelli.
Spero veramente che questa “tradizione/usanza” possa cessare e che ogni mamma e famiglia capisca il bellissimo dono che è avere dei figli.

“Ti seguirò ovunque andrai”

Da quando sono arrivata ad Ambositra ho iniziato fin da subito a frequentare la Casa della Carità, perché so che è una buonissima palestra soprattutto nei momenti più difficili.
Mi hanno chiesto di seguire in particolare una bambina di nome Clarisse.
Clarisse è una bambina di due anni, fin dalla nascita è in Casa di Carità, suo papà è morto e sua mamma è malata di mente e non riesce a tenerla. Clarisse è una bambina normalissima cammina, corre, capisce tutto, l’unico difetto  è nata con un problema al palato: ha subito un’operazione e fatica a parlare ma i medici hanno detto che parlerà ci vorrà solamente un po’ di tempo.
Mi hanno chiesto di stare con lei, di  giocare e soprattutto parlarle (visto che la parola non mi manca!) per aiutarla a migliorare dopo l’operazione.
Siamo subito entrate molto in sintonia, io le provavo a dire piccole parole in malgascio e lei cercava di ripeterle. Giocavamo insieme, coloravamo e lei migliorava a piccoli passi. Oggi sono andata in Casa di Carità per fare un'attività con le tempere, ma non sono riuscita a farla. La superiora delle suore mi ha comunicato che fra due giorni Clarisse dovrà andare a Fianarantsoa dove starà per un po’ in Casa di Carità e poi andrà nell'orfanotrofio aspettando una famiglia.
Non ce l’ho fatta e sono scoppiata a piangere, non riesco a credere che questa piccola creatura prenderà il volo fra pochi giorni. Abbiamo lavorato insieme per tre bellissime settimane giorno per giorno migliorando sempre di più. Non mi dimenticherò mai di sabato mattina quando  eravamo insieme in giardino e nel vedere una mucca ci siamo avvicinate. Io ingenuamente mi sono avvicinata con lei per accarezzarla, ma nel momento in cui ho allungato la mano la mucca ha incominciato ha rincorrerci. Io l'ho presa subito in braccio e ho iniziato a correre verso casa come una disperata,  mentre lei ha iniziato a ridere di gusto fino a quando non siamo arrivate.
Oppure quando l'ho portato per la prima volta in casa dei volontari e alla vista di uno specchio si è subito fiondata a guardarsi tutta e ha incominciato a darsi piccoli baci allo specchio e ogni bacio era accompagnato da una risata.
Questi sono piccoli ricordi  che mi porterò di Clarisse, ovunque andrà.
Domani sarà dura salutarla e dirle “ buona strada”, ma sono convinta che il Signore ogni giorno metta sul nostro cammino persone magnifiche che hanno il compito di accompagnarci, seppur per un breve tratto. Non mi resta che ringraziare Clarisse e il Signore per questo nostro incontro e per il percorso fatto insieme; nel frattempo aspetto che arrivi qualcun altro sulla mia strada per continuare questa missione che questa bimba è riuscita a farmi iniziare nel modo migliore!


Un saluto e un mega bacio a tutti quanti, ogni sera un pensiero va a tutti voi!

Alla prossima... Veloma

           Agnese Bertacchini

E poi finalmente il Signore nascerà


E’ arrivato l’Avvento! Con il tempo che corre veloce ci ritroviamo già prossimi a questo periodo di Grazia che accompagna verso il Natale!
Anche qui sull'Isola rossa ci stiamo preparando al Natale in un modo molto diverso da quello a cui ero abituata prima! Innanzitutto il clima non promette fiocchi di neve e laghetti di ghiaccio…qui siamo in piena estate, con temperature alte e tassi di umidità interessanti!! 
Il cielo è sempre azzurrissimo e il sole è davvero cocente!
Niente corsa ai regali. Non compaiono luminarie sulle strade, alberi di Natale giganteschi e pieni di addobbi nelle piazze, presepi a misura d’uomo in ogni angolo. Tutto è molto più semplice. 
Gli addobbi si concentrano nelle chiese, dove si prepara la capanna con i personaggi del presepe. 
I bambini e i giovani, poi, provano per realizzare una drammatizzazione sulla storia della nascita di Gesù che andrà messa in scena la sera della vigilia prima della consueta Messa (un po’ come i nostri presepi viventi).
Ci si prepara con la preghiera. Ci si prepara con il canto (che qui riveste una grande importanza all’interno di ogni celebrazione), utilizzando canti d’attesa e iniziando a provare i canti della liturgia natalizia.
Il periodo di Natale, poi, anche qui rappresenta un momento particolare durante il quale dare attenzione ai fratelli in difficoltà. In genere in queste settimane vengono fatte delle raccolte di denaro che permettano di acquistare del riso (elemento base nell'alimentazione malgascia) da donare alle famiglie più povere dei quartieri della parrocchia.
E’ anche il momento per ritrovarsi. 
Tante sono le associazioni e i gruppi che gravitano attorno alle parrocchie e ciascuno trova nell'arrivo del Natale l’occasione per organizzare un ritiro per pregare insieme, per condividere, per scambiarsi gli auguri.
E poi, finalmente, il Signore nascerà! 



La sera della vigilia inizieranno le messe solenni…non a mezzanotte, però! Qui gli spostamenti si fanno a piedi e così, il buio e le distanze, richiedono un anticipo dell’orario della messa che inizierà quindi nel tardo pomeriggio. Il giorno di Natale ci sarà un’altra messa, una sola, come ogni domenica, non a più orari consecutivi come nel nostro mondo! E alla fine dell’unica messa mattutina il sacerdote raggiungerà una delle varie comunità di campagna che rientrano nella sua parrocchia per celebrare una messa anche lì. 
E le comunità che non riusciranno a vedere il sacerdote nel giorno di Natale non si scoraggeranno di certo! Grazie all'aiuto del catechista potranno vivere la liturgia della Parola e festeggiare comunque in modo sentito l’arrivo del Messia.
Il Vangelo della prima domenica di Avvento (Lc 21, 25-28, 34-36) ci preannuncia momenti di timore e di sconvolgimento della natura, ci preannuncia così l’arrivo del Figlio di Dio. Se guardiamo a quello che sta avvenendo nel mondo, quello che fa un gran fragore e quello che, pur altrettanto grave, si consuma in silenzio, non siamo lontani dal chiederci se “la fine del mondo” è vicina. Quando vedremo accadere queste cose, ci dice Luca, e quando ci ritroveremo imbrigliati tra le cose che appesantiscono i nostri cuori, alziamo lo sguardo verso il cielo perché sarà allora che vedremo arrivare il Signore…il momento della paura, in realtà sarà quello che lo vedrà arrivare per realizzare il Suo Regno. 
Non perdiamo speranza, quindi, e diamoci da fare nel nostro piccolo per evitare qualche piccola distruzione.
Mi è sempre piaciuto molto il salmo 84 del quale mi colpiscono sempre gli stessi versetti: “Misericordia e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno. La verità germoglierà dalla terra e la giustizia si affaccerà dal cielo.” Credo sia proprio questo il mondo al quale tendere, alzando lo sguardo verso il cielo. E per me è molto bello pensare che questo mondo possa passare attraverso il “sì” di una giovane donna, la capacità di accoglienza di Giuseppe che di fatto accoglie Gesù attraverso l’altro (o l’altra: Maria), e la nascita di un bambino piccolo e indifeso…tre aspetti molto umani, che però hanno saputo cambiare la storia. 
Ed è con tanta meraviglia nel cuore che auguro a tutti voi un buon cammino di avvento e un sereno Natale. Sentiamoci interpellati dal volto di quel bambino, che in fondo chiede a ciascuno di noi di aiutarlo, con le nostre caratteristiche “umane” a creare quel mondo di misericordia e verità, di giustizia e pace.

Diana Guidorizzi (missionaria laica fidei donum in Madagascar)

Un anno di vita in Madagascar

Mi chiamo Giovanni e sono da poco rientrato dopo una anno vissuto in Madagascar, più precisamente ad Ambositra, uno dei posti dove opera la missione della diocesi di Reggio Emilia Guastalla.
Quasi due anni fa ho deciso di partire, finita l’università, per capire cosa significa essere missionario laico, vedere di persona le situazioni di povertà e di bisogno nel sud del mondo, sporcarmi le mani in prima persona e intanto cercare di capire quale fosse la mia strada.
Quando ho deciso di partire, probabilmente con tanta arroganza, ho pensato che sicuramente io potevo “dare” qualcosa a chi era nel bisogno, potevo “fare” qualcosa per gli altri, potevo “aiutare” chi viveva nella povertà… insomma ero sempre io al centro. Per fortuna, quando sono arrivato in Madagascar, mi sono reso conto di essere la persona più inutile del modo: non capivo assolutamente nulla di quello che la gente diceva, non ero minimamente in grado di farmi capire dalle persone, non conoscevo le usanze e le tradizioni locali e nemmeno in Casa della Carità riuscivo a rendermi utile non sapendo le loro abitudini ed il loro modo di fare le cose.


Sono partito da qui leggendo, durante una veglia che avevo organizzato per salutare gli amici del gruppo scout, il passo del vangelo di Matteo che dice “ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”... pensando che era per quello che stavo partendo… mentre una volta arrivato in Madagascar mi è sembrato più che altro di sentirmi dire, come a Pietro, “Va' dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!”.

Quindi, aiutato dai preziosissimi consigli di chi era lì da molto prima che arrivassi io, ho iniziato a provare a “stare” in mezzo alle persone. All’inizio è stato molto faticoso, non si può negare, ma poi pian piano mi son reso conto di come tutti coloro che stavo frequentando si sforzavano per aiutarmi… già io che ero sceso in Madagascar pensando di “aiutare tutti” mi son ritrovato a prender coscienza di quanto a volte sia molto più difficile lasciarsi aiutare piuttosto che aiutare il prossimo.
I malgasci sono così, è una cosa eccezionale e disarmante, quando vedono che puoi aver bisogno, senza che tu chieda nulla, ti si fanno prossimi, ti offrono il loro aiuto e di colpo il tuo problema, la tua difficoltà, diventa anche il loro pensiero per cercare di aiutarti… anche se non ti conoscono, anche se è la prima volta che ti vedono in vita loro, anche se sei straniero. Ci sono diverse lezioni che credo potremmo imparare dai malgasci ed una è proprio questa: il riuscire a guardare attorno a noi, al di fuori di noi, a quelle che possono essere le esigenze di chi ci sta intorno ed offrire il nostro aiuto senza aspettare che ci venga chiesto nulla.

E così mi son lasciato aiutare a prendere pian piano confidenza, ad imparare da loro le abitudini, le tradizioni, il loro modo di fare le cose, ho imparato ad avere pazienza, a non cercare di imporre il mio modo di pensare e di agire nella convinzione che tutto debba seguire una determinata logica che per me era cosa ovvia (e questo è stato parecchio difficile vista la mia immensa testardaggine), ma al contrario mettermi ad osservare ed ascoltare anche quando sembra non esserci un senso.

Un’altra lezione bella che si apprende in Madagascar è quella dell’essere sempre e perennemente in ritardo, è una cosa che personalmente mi ha sempre dato un enorme fastidio e anche là della pazienza ne ho consumata un bel po’ prima di iniziare a capire. I malgasci sono sempre in ritardo, ma non come noi qui che fino all’ultimo secondo siamo impegnati in qualcos’altro che facciamo per noi stessi, i malgasci sono in ritardo perché considerano mancanza di rispetto camminare per strada senza salutare e fermarsi a scambiare due parole con chi si conosce. E penso che sia una differenza sostanziale perché il ritardo non è dato da tempo trattenuto per se, ma al contrario è causato da tempo che viene donato nell’incontro. Forse troppo spesso a noi capita di camminare per strada con la testa bassa a guardarci le punte dei piedi o peggio ancora rivolgendo le nostre attenzioni unicamente al cellulare che teniamo in mano senza renderci conto di chi ci cammina di fianco o evitiamo di salutare qualcuno per paura di disturbare o per paura che ci tocchi fermarci a scambiare due parole e non ne abbiamo voglia. Forse arrivare in ritardo non è poi così male se ci si guadagna nell’essere persone più socievoli.






Ciò che ho ricevuto in quest’anno trascorso in missione è di gran lunga più abbondante di quel poco che forse sono riuscito a dare io a coloro che ho avuto la fortuna di incontrare... è una frase che tutti quanti ripetono ma è anche la cosa più vera che si possa dire.

È stato un dono veramente grande per me questa chiamata a partire come missionario laico a condividere un pezzo di strada con tante splendide persone che ho incontrato in Madagascar, anche con gli altri fratelli e sorelle della famiglia dei missionari e volontari reggiani, che è ben numerosa e si compone di varie figure, diverse e complementari nel modo di vivere la missione.
Sono grato al Signore per ogni singolo incontro, perché ciascuno mi ha lasciato tanto e credo mi abbia insegnato qualcosa: qualcosa che spero di riuscire a custodire per farne tesoro nella mia vita.

Anche se l’approccio non è sempre stato facile, ho ricevuto molto dai tanti poveri che ogni giorno hanno suonato alla campanella di casa chiedendo prima di tutto di essere ascoltati e poi di essere aiutati nella difficoltà che stavano attraversando. Ho ricevuto tanto dalle suore e dagli ospiti della casa della carità di Maharivo, a due passi da casa volontari, che mi hanno sempre accolto, aiutato e guidato con grande affetto e mi hanno fatto veramente sentire a casa e parte di una splendida famiglia condividendo con me ogni cosa. Ho ricevuto veramente tanto dai numerosi bambini con cui ho trascorso le mie giornate in missione: dai bimbi in cura presso l’Akanin’ny Marary con i quali abbiamo fatto tante chiacchiere per cercare di conoscerci e di guadagnare piano piano un po’ di fiducia da parte loro; ai bimbi di Maharivo, il quartiere di Ambositra in cui abitavo, bimbi spesso poveri che non hanno niente e che non hanno la possibilità di studiare, ma che con grande gioia e splendidi sorrisi mi seguivano per fare qualche attività e un po’ di giochi insieme; i bimbi con disabilità mentale che frequentano le classi integrate all’interno della scuola pubblica di Ambositra e le loro insegnanti con i quali ho lavorato in merito al progetto di RTM sulla salute mentale, con qualche difficoltà nel riuscire a collaborare su una linea condivisa insieme alle insegnanti, ma con la gioia di raggiungere buoni risultati per gli studenti; e per concludere i bimbi che vivono nella casa/comunità di Fanomezantsoa in quanto i loro genitori, o l’unico genitore, sono detenuti in carcere… a Fanomezantsoa ho lasciato il mio cuore, costruendo, settimana dopo settima, un forte legame con ciascuno dei 14 giovani che ci vivono e con Mme Bako e suor Julie che se ne prendono cura…

Fanomezantsoa  in malgascio vuol dire “un dono grande” e credo nn ci sia parola più adatta a descrivere ciò che è stata per me questa missione.

Giovanni Aldrovandi

lunedì 30 novembre 2015

Albania: la famiglia di Samuele a Gomsiqe

Siamo Lorenzo ed Alessandra Ferretti di Albinea. Dal 19 al 26 ottobre, insieme ai nostri figli Pietro ed Elena e nostra nipote Teresa, siamo stati in Albania nella missione di Gomsiqe, dove nostro figlio maggiore Samuele è presente dal 27 aprile e resterà fino alla fine di marzo 2016.

E’ stato un viaggio voluto e sperato non solo per vedere nostro figlio, ma per capire e condividere la sua scelta di partire per 12 mesi staccandosi da tutte le sue sicurezze o prospettive di vita futura, per vivere in una terra e in una realtà completamente avulsa dalle esperienze che fanno i suoi coetanei oggi.

Durante la nostra permanenza, abbiamo fatto “vita di missione”, cioè abbiamo seguito Don Stefano e Samuele nelle loro varie attività pastorali ma non solo. Abbiamo passato 1 settimana di vita familiare di assoluta condivisione: ci alzavamo insieme, pregavamo, mangiavamo, ci spostavamo insieme e ogni attività non poteva che essere fatta in comunione.



Abbiamo visitato Scutari e visto i segni lasciati da una delle dittature più violente del Novecento; abbiamo incontrato uomini e donne che ci hanno mostrato la loro testimonianza e ci hanno raccontato come questo popolo abbia affrontato le sofferenze del regime senza mai abbandonare la propria fede dimostrandoci oggi come diverse religioni possano convivere in pace e tolleranza reciproca.
Abbiamo sperimentato l’accoglienza delle famiglie dei villaggi, che nella loro dignitosa ospitalità condividono quel poco che hanno con l’ospite sacro e portatore di benedizione. Abbiamo sperimentato la festa dei bambini durante l’ora del catechismo fatto di canti gioiosi, di gioco insieme, di gesti e parole semplici ma che rendono viva ed efficace la Parola di Dio. Tutto è semplice; si vive e si fa con quello che si ha.


Pietro, Elena e Teresa hanno, per una settimana, “abbandonato” le loro abitudini, le loro comodità e si sono adattati e messi a disposizione facendo quello di cui c’era bisogno. I tempi morti non esistono ( o perlomeno sono molto pochi) e il ritmo della giornata è cadenzato da tanti impegni e si arriva alla fine della giornata sfiniti; però il tempo per una partita a carte, un po’ di musica con la chitarra, due canti in allegria o semplicemente lo stare insieme per chiacchierare lo si trova sempre.

Come Chiesa siamo chiamati a guardare oltre i nostri confini perché la nostra ricchezza e le nostre comodità ci fanno perdere spesso il senso della nostra fede, il senso di che cosa vuol dire accoglienza, fratellanza, compassione e condivisione. Vediamo nell'altro solo un pericolo o una minaccia per il nostro benessere e per la nostra tranquillità.

Allora, al ritorno da questo meraviglioso viaggio nella terra albanese sentiamo più vere che mai le parole di Papa Francesco che ci richiama nell'essere oggi coerenti con la povertà del messaggio evangelico: <..come possiamo dire agli altri di essere poveri se noi non assumiamo atteggiamenti pubblici e privati di povertà…>.
Queste parole, Signore, diventino sempre più espressione vera, coerente e condivisa di tutta l’umanità.
Lorenzo, Alessandra, Teresa, Pietro ed Elena

Persone. Viaggio in Tamil Nadu, India, agosto 2015

Ricordo una delle ultime sere trascorse in India, dopo una speziatissima cena. Con alcuni amici, compagni di viaggio, ci siamo seduti sotto il lungo porticato bianco della casa di Tiruchirapalli, rigorosamente accerchiati da zampironi, a parlare del senso di questi viaggi.
C’era chi contestava quello che alcuni dicono sul fatto che questo tipo di esperienze ti cambino la vita, chi sosteneva che possono cambiarti la vita se della tua vita c’è effettivamente qualcosa da cambiare e, infine, chi affermava che, per forza, un viaggio in qualche modo, che tu te ne renda conto o meno, la vita te la cambia.
Io appartengo sicuramente all’ultimo filone di pensiero. Ogni viaggio che ho fatto in qualche modo penso mi abbia cambiata, questo è sicuramente tra quelli che lo hanno fatto con più forza.
È stato un viaggio di tre settimane in lungo e in largo per la regione indiana Tamil Nadu. Uno degli ultimi giorni, tracciando sulle cartine comprate a pochi cent per strada, ci siamo resi conto di aver percorso all'incirca 2500 km tra pulmini sgangherati e tuctuc gialli canarino.
2500 km scanditi da varie tappe alcune turistiche, altre no. Alternavamo templi coloratissimi stracolmi di gente e di odori a scuole di bambini con le più svariate disabilità. Musei e parchi archeologici a conventi, centri di medicina tradizionale e villaggi, ma se dovessi dire cosa mi torna in mente dell'India, risponderei di sicuro Fatimanagar.
Fatimanagar, un centro medico in cui vengono ricoverati e curati (con cura non intendo solo cure mediche, ma anche attenzioni, buon cibo, un lavoretto) persone affette da HIV, TBC e Lebbra.



Purtroppo il tempo trascorso con queste persone è stato davvero troppo poco, ma abbastanza per volersi bene. Un volersi bene nato dal semplice passare un po’ di tempo insieme, cercare di comunicare in tutti i modi possibili con gesti, facce e risate fragorose. Non scorderò mai la risata
collettiva di quando prima di partire ho bussato alla porta del dormitorio femminile, un gesto a loro completamente sconosciuto. Una risata che mi ha disarmata per la sua bellezza, donne che avevano perso le mani o un piede che ridevano di gusto per un gesto così semplice, mi ha spiazzata la bellezza della diversità, un gesto così semplice, diverso, fatto con il rispetto dovuto a chi ti apre la porta della sua realtà e carico di tutta la tristezza che si ha quando si saluta una persona cara che si sa che probabilmente non si rivedrà più.
Assurdo ricordarsi una risata in un contesto così?
Assurdo ricordarsi il tifo che mi facevano quando cercavo di vincere ad un gioco di cui non so tuttora le regole (che mi sono state accuratamente spiegate in Tamil)?


Assurdo ricordare il canto di preghiera di un’anziano che finalmente guarito stava per tornare a casa?
La risposta che mi sono data, e che può essere tranquillamente contraddetta, è no.
No perché questo è stato quello che mi ha permesso di stare insieme a queste donne, a queste persone, vivere serenamente e godere dello stare insieme; è quello che mi ha permesso di stare insieme a loro con tranquillità durante le medicazioni, perché dietro alla ferita c’era una persona, un nuovo amico.
Quello che mi dispiace molto è che vorrei che ognuno di noi scrivesse una riga di quello che gli è rimasto di più, perché sono certa che sarebbero tutte cose diverse. A me è rimasto questo, ma so di tanti che sono rimasti profondamente colpiti dall'esperienza nelle scuole, o con i bimbi malati di AIDS o dalla realtà dei villaggi.
Mi dispiace di non poter parlare di tutto, ma è davvero troppo, non ho ancora trovato la forza di rileggere il diario di viaggio, ci troverei troppe bombe… la malattia, la disabilità, il binomio vita-morte, il lutto, l’amicizia, l’amore, la meditazione, Dio e troppo altro.
Sono partita senza aspettative, avevo paura del caldo e di cosa avrei visto, sono tornata che non ho capito quasi nulla dell’India, o meglio, del Tamil Nadu.
So il nome di qualche divinità, ho provato a meditare, ho conosciuto e vissuto l’accoglienza.
L’accoglienza: non scorderò mai il giorno trascorso con gli anziani della “casa di riposo” della nostra casa a Tiruchirapalli.
Ci hanno accolti con un bicchiere di Fanta e uno sciallino bianco di cotone, ognuno ricamato con un motivo floreale diverso, li ho sentiti nonni. Tutti miei nonni, tutti nonni di tutti noi. Parlare di accoglienza è riduttivo, ci sono sentimenti che si possono solo vivere per essere capiti. Se penso a quei nonni che mi hanno fatto vedere le foto di famiglia, regalato caramelle e santini, mi hanno fatto sedere sul loro letto e mi hanno preso la mano per sentici vicini, come se non lo fossimo già
abbastanza; se penso a loro li penso con tutto il bene con cui si pensa ad un nonno. Loro come a quel signore sui settanta di cui non mi ricordo nemmeno il nome, troppo difficile, un signore dalla dolcezza estrema che vedeva i suoi piedi decomporsi lentamente, quel signore che ha occupato i miei pensieri per giorni, riempiendomi la testa di domande enormi.
A distanza di alcuni mesi ripenso all'India, mi è venuto un gran mal di testa, troppe emozioni, forse, in conclusione, ripensando un po’ a tutto, penso che quello che mi ha insegnato quest’esperienza è che non è necessario parlare la stessa lingua o conoscersi a fondo per volersi bene, quello che mi è rimasto è che per volersi bene basta guardarsi e riconoscersi uomini.

MariaChiara Filippi


mercoledì 18 novembre 2015

Vanessa ed il Brasile prossimo

Vanessa Leccese ha 26 anni e nel 2009 è venuta ad abitare a Reggio Emilia per studiare. Ora è laureata in scienze dell'educazione.
E’ già stata 3 volte in Brasile e sentiva il desiderio di una esperienza di lunga durata, ci scrive…

"A 19 anni un ragazzo italiano si trova di fronte ad una scelta, quella di iscriversi all’università o meno. E per noi ragazzi del sud Italia il quesito è anche: lasciare casa, trasferirsi in qualche altra città o restare. Per me, nel 2008, la scelta è stata un’altra. Avrei potuto fare la cosa più semplice, iscrivermi all’università. Ma dentro di me sentivo che non era quello che volevo. Stavo cercando la felicità, quella travolgente, che ti toglie il respiro.Mi chiamo Vanessa, ho 26 anni e sono di Montescaglioso (MT). Sono partita per il Brasile nell’ottobre 2008 e sono ritornata nell’aprile 2009 sapendo cosa volevo: diventare un’educatrice! E così mi sono iscritta all’università di Modena e Reggio Emilia, sicuramente guidata da Qualcuno che ci vedeva più lontano di me. Mi sono laureata e, nel frattempo, ho avuto la grande fortuna di conoscere alcuni servizio civilisti della Caritas che mi hanno un po’ stravolto la vita. Nel 2013 ho deciso di partecipare al bando SCV, superandolo. Ho prestato servizio per un anno in una Comunità di prima accoglienza per mamme e bambini e nel frattempo sono venuta a conoscenza del Corso di “Villa Borettini”, organizzato dal Centro Missionario di Reggio Emilia e da altre realtà reggiane che si occupano di missione. In quel momento mi sono ritrovata di fronte ad un bivio: cosa fare della mia vita? Nel frattempo l’anno di servizio civile era finito. Avevo trovato lavoro come educatrice, ero felice. Erano sei anni che vivevo a Reggio: amici, affetti, l’indipendenza tanto desiderata, ma c’era qualcosa che mancava.Agli occhi della società  stavo finalmente costruendo la mia vita, ma il sogno dal quale ero partita, quello di diventare educatrice, sapevo che non era completo, non era quello il vero motivo per cui mi ero iscritta all’università.

E così il coraggio di rischiare: “don Romano vorrei partire!”. E don Romano Zanni, direttore del Centro Missionario della Diocesi di Reggio Emilia, mi ha accolto con questa proposta: “C’è un progetto in Bahia pensato per una coppia, ma hanno deciso di non partire… tu cosa ne pensi?”.Ho aspettato tre mesi prima di richiamare, perché farlo voleva dire sì, sono pronta. E quando ho avuto il coraggio, nulla si è più fermato: i documenti, comunicarlo alla mia famiglia, la preparazione, il corso a Verona organizzato dal CUM (Centro Unitario per la Cooperazione Missionaria fra le Chiese) per tutti i partenti in missione in America Latina e Africa.L’8 novembre partirò e quando mi guardo indietro penso che quanto è accaduto nella mia vita negli ultimi 6 anni mi abbia portato a questo ritorno in Brasile.

Vanessa Leccese (al centro) con Alba (alla sua sinistra, prossima partente per il Madagascar) con altri partenti al Cum.


A me non piace raccontare della mia vita, ho riflettuto molto prima di scrivere, ma qualcuno mi ha detto: “credo sia importante trasmettere un messaggio, qualcuno l’ha fatto con me, oggi lo faccio io”.In molti hanno detto di me che sono una persona coraggiosa, in realtà penso di non esserlo. Ho preso una decisione, voglio vivere la mia vita! Non cerco la felicità, ma la pace di vivere ogni giorno in pienezza!"

Il progetto Mãe da esperança
Il progetto Mãe da esperança  a Nova Redençao nello stato federale di Bahia in Brasile, opera a favore dei minori a rischio seguendo la loro crescita. È una piccola struttura che accoglie i bambini da 0 a 12 anni che si trovano in estrema difficoltà non solo materiale ma anche famigliare. Centro di attenzione sono i bambini con la loro storia legata alla famiglia, alla scuola e al potenziamento della loro creatività.

Ora dal Brasile: don Gabriele Burani

Pubblichiamo la lettera di novembre che ci ha inviato don Gabriele Burani, missionario fidei donum della Diocesi di Reggio Emilia in Brasile.


don Gabriele


Ipirá, Bahia, lettera del novembre 2015  

Carissimi, un  saluto a tutti.
Mando un piccolo aggiornamento da Ipirá – Bahia.
Stiamo riflettendo, in questi mesi, anche sulla nostra presenza come missionari reggiani in Brasile e con la visita del Vescovo continueremo questa riflessione.
Penso che la nostra presenza qui debba essere anche e soprattutto di animazione missionaria.  La domenica della Giornata Missionaria Mondiale, nelle omelie ho detto che il Brasile é uno degli Stati, nel mondo, con il maggior numero di cattolici. Ma con pochi missionari ad gentes. E anche nella nostra realtá di una grande parrocchia come Ipirá la spinta missionaria dovrebbe essere maggiore. La messa penso sia frequentata con regolaritá  dal 2-3 % della popolazione circa, e, almeno in cittá, per la maggior parte persone di classe media. Non ci sono grandi ricchi, non ci sono i politici, sono pochi i piú poveri.   Abbiamo alcuni quartieri con moltissime famiglie senza presenza cattolica; soprattutto in zone dove é molto forte la diffusione della droga e le famiglie sono disintegrate.
Poi sto scoprendo, nella zona di campagna della parrocchia, villaggi che non hanno mai avuto una presenza di Chiesa, e altre zone con gruppi di cattolici ma con nessuno che sia in grado di guidare una comunitá: persone senza istruzione, che non sanno né leggere né scrivere, che non hanno mai avuto una formazione catechetica.
Allora la sfida per la parrocchia: animare la nostra missionarietá.
Ci sono alcune attivitá belle come la missione diocesana in una parrocchia una volta l’anno, anche un fine settimana ogni anno in parrocchia la missione dei giovani fatta in alcune comunitá della campagna. Ma abbiamo bisogno di animare la comunitá, dare una spinta maggiore, entrare in tante zone abbandonate, incontrare le famiglie per annunciare il vangelo. Una esigenza, anche qui da noi, é formare una equipe per la animazione missionaria della parrocchia.
Abbiamo fatto due incontri per dare inizio a questa equipe missionaria, e grazie a Dio un gruppo di persone si é reso disponibile. Innanzitutto per una formazione, per uno studio della realtá. Poi vedremo quali attivitá missionarie, dove e come muoverci.
Una piccola esperienza, con un gruppetto di giovani siamo andati in uno dei quartieri poveri e problematici, Ipirazinho, dove é anche presente il Progetto Dançar á vida. Abbiamo incontrato alcune famiglie piú disagiate e con molti bambini, per invitarli a un giorno di festa( preghiera, gioco, danze, doni...). Un resoconto di qualche incontro.

don Gabriele con alcuni parrocchiani


 Ipirazinho   Con un gruppetto di giovani  andiamo in Ipirazinho a visitare alcune famiglie più povere ed invitare i bambini ad una festa, il 1 novembre. Ci sono sempre tanti bambini in questo povoado. Una giovane, che ha una forma di atrofia agli arti ed è in carrozzella, abita nel villaggio e aiuta nella liturgia, ci guida nella visita delle famiglie che hanno bambini e che sono bisognose.
Andiamo da Luiza, che ha 7 figli, il maggiore ha 18 anni; la incontriamo sulla strada, con alcuni dei figli più piccoli, è triste e piange, il secondo figlio ( 16-17 anni) la scorsa settimana è finito in carcere. Un giorno è arrivata la polizia nella loro piccola casetta, lui aveva droga e lo hanno portato in prigione.  Lei è sola con questi bambini piccoli, abita di fronte alla chiesetta del villaggio e i bambini vengono sempre a salutarci quando arriviamo.  Il figlio maggiore fa qualche lavoro saltuario.  Luiza ci chiede di andare un giorno nella sua casa per fare un incontro di preghiera. Ci fermiamo anche in questo momento sulla strada per pregare insieme, e le diciamo che un pomeriggio andremo per pregare in casa sua.
A poche decine di metri abita Sandra, in una casa dall’aspetto molto trasandato; un figlio piccolo, sporco e seminudo, molto attivo, si unisce a noi nelle nostre visite. Sandra è giovane, avrà 25-28 anni, con diversi figli e una situazione di miseria: è sporca, spettinata, disordinata, scalza, con i piedi neri. Anche lei sola, con questi figli piccoli. Un maschietto in età scolare ( 10 anni, mi pare) non va a scuola, preferisce andare al pascolo con gli animali. A quest’età ancora non sa leggere e scrivere; nemmeno la madre sa scrivere. Le diciamo che importante che i figli vadano a scuola, per imparare a leggere e scrivere, e lei è d’accordo ma non sa come fare. Anche qui manca la figura paterna; chi è il padre o i padri di questi figli? Tante donne sole con tanti bambini, che vivono in una situazione di estrema povertà culturale ancor prima che materiale.

Mentre camminiamo una signora mi chiama da casa sua. Quando arrivo mi dice: perché non venite da me? Io non so cosa rispondere, le dico che ora sono da lei e può parlare liberamente. Mi dice che il gruppo della chiesa cattolica non va da lei perché i figli grandi sono protestanti, ma anche da lei ci sono dei bambini. La invito a rimanere serena, anche i bambini della sua famiglia possono partecipare con gli altri.
Pian piano arriva la sera, ci spostiamo in una altra zona: una giovane donna, malata, si muove a fatica per problemi al collo e alla schiena, ha 4 figli piccoli... vivono in una casa minuscola, due stanze mal fatte, hanno solo i mattoni delle pareti, la Tv e poco più. Lei ci chiede anche aiuti alimentari. Il volto sofferente, sentiamo il peso della disperazione. Ancora una donna sola, con tante difficoltà.
Una luce accesa in una altra casa, Aparecida ha 8 figli, tutti minori, i più piccoli si aggirano completamente nudi, sorridendo. Li invitiamo alla festa, sono in tanti in un ambiente povero ma sono sereni, allegri.

Accanto una altra casa animata, con tanti bambini. Davanti alla casa una signora sui trenta anni, che ha 5 figli, sulla porta un’adolescente di 16 anni, sua figlia, che a sua volta è madre di due figli, uno di un anno e mezzo e uno di quattro mesi.
Persone che vivono con gli aiuti dello Stato per le famiglie povere. Spesso madri sole. In genere non ci sono situazioni di estrema miseria, perché qualche aiuto arriva. Il problema forte è culturale. Frequentano la scuola saltuariamente o non frequentano, non imparano a leggere e scrivere, rimangono esclusi da tante attività...   per questo il nostro Progetto “ Dançar à vida” per i ragazzi diventa un aiuto per fortificare l’impegno scolastico, per aiutare a lavorare in gruppo, per aumentare autostima e fiducia nella possibilità di crescere e realizzarsi nel bene. Un appoggio nella crescita culturale rispetta la dignità della persona.
Qualche giorno dopo la visita, andiamo con un gruppetto di giovani, per un giorno di animazione, cantando, giocando, portando piccoli regali. Tanti bambini si uniscono, spuntano da tutte le case del villaggio.

Ringraziamo il Signore per queste opportunità.

giovedì 5 novembre 2015

La festa della Casa di Carità in Albania

Laç Vau-Dejes, 15 ottobre 2015

Ciao a tutta la nostra bella Famiglia, in Italia e nelle missioni diocesane. 
Anche noi oggi abbiamo celebrato la festa di Shenjte Tereza: festa shume e madhe.
Noi siamo fortunati perché oltre alle Carmelitane della Casa della Carità, nella diocesi di Laç c’è anche un monastero di Carmelitane di clausura: a Nenshat infatti c’è un Carmelo con una decina di monache.
La comunità di Gomsiqe, formata in questo momento da don Stefano, Samuele e la Titti (in visita per 3 settimane), è scesa alla Casa della Carità mercoledì sera per potere iniziare la giornata del 15 insieme a sr Rita con la preghiera. È sempre un po’ strano pensarsi lontano (ma solo fisicamente!) da Reggio per il 15 ottobre, lontano dalle lodi e ufficio in S. Teresa, lontano dalla preparazione degli Ospiti per arrivare al palazzetto, lontano dal carica/scarica gli Ospiti dai pulmini, lontano dal canto iniziale del Veni Creator… lontano ma vicinissimo con la preghiera e il pensiero.
La nostra giornata è proseguita con la mattinata trascorsa in Casa mentre motra Rita è andata a Scutari per alcune faccende. Ovviamente nella frenesia qualcosa non ha funzionato: motra Rita sale in macchina pronta per partire e… la macchina non parte. Non si perde d’animo e si lancia subito alla caccia di un “furgon” direzione Scutari.
Durante il pranzo sr Rita rientra da Scutari e festeggiamo insieme S. Teresa con una bella porzione di “trileçe” (tipico dolce albanese che consiste in una pasta tipo pan di spagna imbevuta di 3 tipi di latte diversi e sopra cosparsa di qualcosa simile al caramello: se potete assaggiatelo!) per tutti. 
Alla fine del pranzo facciamo un piccolo sondaggio tra gli Ospiti per capire chi vuole andare a Nenshat, al Carmelo, dove ci sarà la messa solenne con il vescovo Luçiano. Le nonne preferiscono rimanere a casa temendo di tornare troppo tardi ma i nostri baldi giovani Regjna e Pjetri non hanno dubbi: loro ci saranno! Così di buon ora motra Rita, Samuele e don Stefano partono per il Carmelo per partecipare alla festa insieme a tutta la diocesi e alle Carmelitane. Prima della messa viene fatto un incontro di preghiera per i religiosi che conclude il 500enario della nascita di S. Teresa. 
A Casa la Titti, con il fedele Fabjan (che pur essendo giovane ha preferito restare a fare il “burri” (uomo) di casa) e la nonna Dila hanno provato a guardare via internet la festa del palazzetto: ogni tanto, spesso, la connessione saltava però le vostre facce le abbiamo viste e ci siamo emozionati e la Dila ha anche riconosciuto don Romano, don Filippo, don Daniele e il diacono Antonio Ferretti e ogni volta che venivano inquadrati esclamava: “Zemer!!” (modo affettuoso per rivolgersi ad una persona, letteralmente “cuore”). Abbiamo cercato di vedere motra Grazia (la nostra rappresentante al palazzetto) ma con scarsi risultati.
Noi rimasti in Casa ci siamo andati alla Messa in Cattedrale presieduta da don Simon, che ha ricordato come a Reggio Emilia sia festa grande per tutte le Case della Carità la festa di S. Teresa.
Terminata la messa Fabjan, Dila, Mrika e Titti sono tornati a Casa e hanno preparato la cena aiutati da Bardha, una ragazza che si è poi fermata per la notte. Finalmente sono tornati anche i “baldi giovani” dal Carmelo. Non abbiamo, purtroppo, potuto chiacchierare e raccontarci molto perché quelli di Gomsiqe, shpejt shpejt, (veloce veloce) sono dovuti rientrare a casa.
Ecco, questo è stato un po’ il “nostro 15”.
Grazie al Signore per averci chiamato in questa Famiglia.
Grazie per le preghiere che continuano a sostenerci.
Grazie ai più piccoli che ci mostrano la misericordia e il bene che ci vuole il Signore.

Mirupafshim!

Motra Rita e Titti

Da Nicola, nuove scuole in Madagascar

Cari, 
ci tengo veramente tanto che tutti voi possiate leggere questo mio piccolo rapporto a riguardo dell'inaugurazione ufficiale dei 3 asili cattolici ristrutturati a Vohidahy, Madagascar. 


Si, si può proprio definire un "piccolo rapporto" quello che cerco di trasmettervi con queste poche righe, rispetto all'immenso lavoro, all'immensa gioia, alle tantissime emozioni, alle feste infinite che per 3 giorni ci hanno accompagnato su e giù per le valli e i monti e nei villaggi del Comune di Vohidahy, un comune di circa 9.000 abitanti, ancora verdeggiante di foresta naturale e posto all'estremo Est del Distretto di Ambositra. E' qui che per la sua lontananza dalle principali vie di comunicazione e per la difficoltà di accedervi, quasi tutti gli organismi promotori di sviluppo preferiscono tralasciare o si demoralizzano a strada iniziata abbandonando i propri intenti di progetto. "Andate voi, vi diamo la nostra benedizione, ma fino a Vohidahy noi non ci possiamo venire" ci hanno risposto i rappresentanti del DIDEC (Direzione dell'Insegnamento Cattolico di Ambositra) a cui abbiamo portato l'invito per i 3 giorni di inaugurazione. E purtroppo non è potuto venire anche il Vescovo di Ambositra Monsignore Fidelis Rakotonarivo a cui avevo promesso che la gente era pronta ad andarlo a prendere con una portantina se fosse arrivato con la moto all'inizio della strada brutta. Ma ancora più commovente è vedere che veramente la gente di Vohidahy, che non ha mai visto il Vescovo di persona, credeva in un suo arrivo e per questo a riparato la strada fino alla base di Maromandiadove. 
Beh almeno ne abbiamo beneficiato noi di Tsiryparma che per la prima volta abbiamo potuto condurre le moto fino a destinazione!!!! 


Nostra gioia è stato vedere arrivare almeno Padre Arsene, il padre del Distretto, che fino a quel momento conoscevo poco, in quanto non avevamo mai avuto grandi occasioni per incontrarci. 
Un Padre veramente con la P maiuscola, un grande…..è stato veramente impeccabile nel suo compito. Ci aveva preannunciato che sarebbe tornato ad Ambositra, all'incontro mensile dei preti del Distretto, finita la seconda inaugurazione, ma poi è restato con noi fino alla fine e oltre a portare la Parola di Dio a quelle persone, durante le prediche, si è addentrato in sensibilizzazioni di ogni tipo sull'importanza dell'insegnamento, sull'importanza del matrimonio, sull'importanza di costruire gabinetti, sul valore della foresta, sull'importanza dell'igiene, di bere acqua pulita e abbiamo raggiunto, noi di Tsiryparma, le tre insegnanti e Padre Arsene una sintonia veramente positiva e coinvolgente…

Anche queste 3 insegnanti, giovani, timide e carine ma che purtroppo dubitavo che avrebbero potuto resistere all'impatto "forte" di un posto come Vohidahy, hanno risposto in modo positivo, sempre con il sorriso sulle labbra, hanno indossato i loro grembiulini bianchi, hanno preso per mano i loro 30 bambini, molti dei quali con le lacrime agli occhi e di grida per il timore di essere portati lontano dai loro genitori, e si sono messe a cantare e a ballare come se fossero state li da una vita…..sono arrivate a Vohidahy con il loro sacco e le loro pentole e si sono installate nelle 3 capanne che la comunità locale gli ha messo a disposizione. 

E poi questi bambini, tutti lustrati e profumati per l'occasione, che quando gli abbiamo messo addosso il loro vestitino blu, sembrava che già sapevano del privilegio di cui stavano beneficiando, per diventare più istruiti dei loro genitori che a scuola non sono mai potuti andare. E ad un certo punto non capivi se i bambini fossero i genitori, che dalle finestre delle scuole si accalcavano per guardare i loro figlioletti, che tranquilli e fieri se ne stavano seduti sui loro banchetti fatti su misura, contemplando i muri puliti della loro nuova scuola. 
Una scuola proprio nuova se consideriamo che a Vohidahy gli asili non sono mai esistiti fino ad oggi. Una scuola con mensa due volte alla settimana, i gabinetti, il pozzo per l'acqua potabile, gli orti per produrre ortaggi per le mense ……..e con gli zainetti, le lavagnette, i gessetti, i quaderni, le pentole, l'orologio, i piatti, i bicchieri, i cucchiai e perfino le scope e le palette per spazzare e tenere pulita la classe…..forse troppo, forse no, chi lo può sapere? 
La cosa importante è che questo sia successo e che tutto questo abbia potuto liberare sorrisi di gioia, lacrime, emozioni, nuove mentalità e sentimenti (...)

Un abbraccio.
Nicola







Indelebile come un'impronta!!!


“In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi…”                                                                                                                                                                  Mc 10, 29‐30
Negli ultimi giorni inevitabilmente ho ripensato tanto a quando sono partito per la missione e al periodo prima della partenza e penso che, grazie a Dio, mi abbia cambiato veramente tanto questo anno vissuto qui… vissuto insieme a queste persone… vissuto cercando di ascoltare tanto e possibilmente imparare qualcosa dalle persone che mi stavano intorno e dal Signore che mi parlava attraverso di loro e attraverso i miei limiti e la mia piccolezza.
Ieri ho iniziato il mio giro di saluti prima del rientro, quando sono arrivato a Fianarantsoa alle 16.30 in CdC stavano pregando così mi sono unito a loro e, leggendo il vangelo del giorno, c’era quel bellissimo passo: Mc 10, 29‐30 e sono rimasto stupito (per fortuna ancora mi stupisco di tutte le piccole cose belle che ogni giorno si rivelano) e ho pensato: “già, niente di più vero!!!”.
Non posso che essere sinceramente grato al Signore per questo dono grande che ho ricevuto nella mia vita seguendoLo fin quaggiù. 

Sono tante le case che mi hanno aperto le loro porte accogliendomi e ospitandomi nel migliore dei modi, con una gentilezza ed una generosità che a volte mettono in imbarazzo… sono tanti i fratelli e le sorelle che ho scoperto di avere quaggiù a partire dai bimbi di Fanomezantsoa con cui si è creato uno splendido rapporto, senza dimenticare tutti i missionari e i volontari della missione reggiana con cui ho condiviso qualche passo, infine tutti gli ospiti della Casa della Carità di Maharivo con cui ho condiviso la preghiera quotidiana e tanti sorrisi (e non posso non citare con un ricordo particolare Tahina: il mio “rahalahy gasy”)… sono tante anche le madri, senza offesa per la mia, ma le suore della Casa della Carità ogni giorno da quando sono arrivato mi hanno sempre trattato come un figlio
facendomi sempre sentire amato e coccolato, anche nei momenti difficili… parlare di figli mi sembra presuntuoso, ma non posso non pensare a Clarisse, la dolcissima bimba che vive in CdC e che ho coccolato tanto nel corso di quest’anno… concludendo con i campi che mi hanno dato da mangiare: dal giardino di casa nostra ad Ambositra curato da Ignace e dalle dolcissime Bebè (le nonnine che ogni mercoledì e venerdì mattina vengono a sistemare l’orto); ricordando poi il campo di Fanomezantsoa che abbiamo concimato e poi coltivato patate insieme con i bimbi; infine i terreni di Niry e Manga che abbiamo aiutato, in un momento di difficoltà, a coltivare fagioli. 
Che dire… il Signore non mente ed è decisamente concreto e preciso in ciò che fa e in ciò che dona!

Vorrei quindi salutarvi raccontandovi brevemente di sabato scorso: insieme ai bimbi di Fanomezantsoa abbiamo deciso di dipingere il muro del cortile, così, rulli e pennelli alla mano, ci siamo messi tutti al lavoro: muro giallo e contorno verde, come la casa! Finito di dipingere tutti a pranzo di corsa mentre il sole (con le temperature altissime di mezzogiorno) faceva la sua parte; dopo aver lavato i piatti e sistemato il refettorio ogni bimbo ha pocciato la sua mano nel colore verde e ha lasciato la sua bella impronta.


Volevo raccontarvelo per dirvi che in questo momento il mio cuore è ricoperto allo stesso modo di tantissime belle impronte, tutte colorate, tutte diverse l’una dall’altra… perché il segno che ciascuna
persona incontrata qui ha lasciato sul mio cuore e nella mia vita è qualcosa di unico, di allegro e 
indelebile!!!

Giovanni Aldrovandi