lunedì 26 giugno 2017

Quattro giorni in Albania


La strada che da Laç porta a Gomsiqe è una lunga distesa di  sassi di varie grandezze: nei punti un po’ critici pietre più grandi delineano il percorso e  fungono da guard-rail; per affrontare questi sentieri è necessario affidarsi a una guida salda, ammortizzatori in buono stato, e santi protettori attenti.


Don Stefano e le ragazze (Federica, Francesca e Virginia) conoscono bene queste pietre su cui viaggiano  ogni giorno, a bordo dei due fuori-strada in dotazione alla missione, per recarsi nei villaggi. Guardiamo le nostre ragazze, ce le ricordiamo sui tricicli, e ora le vediamo guidare agevolmente questi
macchinoni, indispensabili  per le   attività quotidiane che una missione di questo tipo comporta: accompagnare Don Stefano a benedire le famiglie, caricare e scaricare i libri per la biblioteca in allestimento, trasportare materiale utile per  catechismo, corsi di chitarra, giochi per i bambini, e occasionalmente offrire un passaggio a qualche conoscente  che cammina sotto il sole, in genere  donne o anziani.

Ma è soprattutto  la domenica o nei giorni di festa che si viaggia, per  celebrare e animare le S. Messe, di solito tre, in tre diversi villaggi.  A differenza di quel che succede nelle nostre parrocchie, dove  possiamo permetterci anche di scegliere l’orario della funzione cui partecipare, in questi villaggi  la S. Messa è un evento atteso e desiderato dalla gente, che ne è stata privata per troppo tempo e  porta ancora i segni delle tribolazioni causate dalla recente dittatura e dalle conquiste delle epoche passate.

E così succede che a Gomsiqe il giorno di S. Antonio (13 Giugno), la gente arrivi  anche con un’ora di anticipo sullo spiazzo davanti all’ edicola del Santo, dove sarà celebrata la S. Messa. Nessun posto fisso, nessuna regola se non quella di stringersi e occupare ogni minimo spazio disponibile. Per sedersi si sceglie un sasso o si usa uno sgabello pieghevole portato da casa. Don Stefano ci spiega come qui lo “spazio vitale” che ogni persona occupa per se stessa sia  più sottile rispetto a quello che noi ci riserviamo nelle nostre comode chiese italiane, dove in un banco stanno tre, massimo quattro persone (e se arriva il quinto qualcuno storce il naso perché deve spostare la borsetta).  Un po’ di spazio in più viene lasciato intorno all’altare, costituito da due tavolini di plastica uniti e ricoperti da una bella tovaglia bianca; le nostre ragazze scelgono i  canti e un gruppo di donne recita, o meglio canta, il Rosario. Non  capiamo le parole,  ma ci lasciamo dolcemente cullare da quelle preghiere, quasi ninne-nanne,  che si tramandano da chissà quanto tempo.

In questa terra, sia  i Cristiani che  i Musulmani hanno conservato una fede solida e una devozione pura e sincera che un regime oppressivo e cruento non è riuscito a soffocare, nonostante abbia usato tutti i mezzi più abbietti per raggiungere questo scopo.  E’ rimasto però un effetto collaterale positivo e singolare, di questi tempi: la comprensione e la tolleranza tra fedeli di religioni diverse, quella musulmana e quella cattolica, uniti dal tributo di sangue pagato dai rispettivi  martiri durante le repressioni del regime.

Notiamo che a Messa vanno soprattutto donne;   le più anziane  indossano ancora il costume tradizionale,  hanno  volti segnati dal duro lavoro, e  sguardi  fieri. Specialmente qui, nel nord dell’Albania, una tradizione di origine antica ma ancora ben radicata le vuole un gradino più in basso rispetto agli uomini, nonostante su di loro pesi gran parte della gestione familiare e  del lavoro quotidiano, mentre gli uomini, i “capifamiglia”,   se ne stanno spesso al bar.


L’Albania è anche questo: una terra di contraddizioni e contrasti così evidenti da far star male.  Vediamo (e ne siamo sorpresi) auto splendenti e ben curate da uomini che  purtroppo non riservano lo stesso trattamento alle loro donne o alle loro figlie; ragazzi con cellulari all’ultimo grido, ma che ancora si stupiscono se alla guida di un’auto c’è una donna. Paesaggi rustici e incontaminati,  acqua in abbondanza ma poche strutture che permettano di  utilizzarla;  fiumi d’acqua limpida su cui galleggiano oche,  e bottiglie di plastica, perché qui dicono che “L’acqua porta via”(ancora non sanno che i rifiuti “portati via” adesso verranno purtroppo restituiti più avanti, e con gli interessi).

Le stesse persone che abbiamo incontrato sembrano essere allo stesso tempo ospitali e diffidenti, come chi ti sorride ma allo stesso tempo non ha dimenticato l’abitudine di guardarsi  le spalle (anche questo, purtroppo,  triste retaggio del regime).
L’orgoglio nazionale degli albanesi è palpabile (il simbolo della loro aquila è presente ovunque), ma allo stesso tempo molti di loro, soprattutto i giovani ,  desiderano  lasciare il  paese per costruirsi un avvenire altrove. Sono soprattutto i piccoli villaggi di montagna, come Gomsiqe, a soffrire di questa migrazione. Abbiamo incontrato una mamma il cui figlio minore sarebbe partito dopo due giorni per l’Italia, con l’intenzione di restarci.


La popolazione ha la  necessità di dimenticare in fretta un passato troppo recente ma per ora sta solo cercando di cancellarne le tracce curando  per lo più la superficie; l’abbiamo notato visitando le ex carceri di Scutari, che sono state ristrutturate e fin troppo ingentilite da lavori recenti, ma  fino a ieri contenevano (“ospitavano” è una parola troppo gentile) albanesi torturati anche per il solo sospetto di avere un pensiero diverso da quello imposto dal regime. La vernice fresca ha cancellato le macchie di sangue dalle pareti ma non quel che c’è stato dentro, e tantomeno ciò che è rimasto “dentro” l’anima della gente,  così come le facciate nuove dei palazzi della città non riescono a nascondere le macerie che stanno dietro.

Qualcuno che decide di  restare e osare qualcosa di nuovo  c’è e l’abbiamo incontrato: dopo la visita alle carceri  le ragazze ci hanno accompagnati a pranzo in un piccolo ristorante di Scutari, insolitamente gestito da  sole donne. Sono  giovani e affabili,  fanno il loro lavoro con passione e si vede: il  locale è piccolo ma accogliente e quasi raffinato e  i piatti molto gustosi, ben cucinati e ben presentati. A fine pranzo queste donne hanno scambiato qualche parola con noi, spiegando di far parte dell’associazione “passi leggeri” che si occupa di difendere le donne vittime di violenza aiutandole a studiare, o a procurarsi un’attività, ad essere indipendenti, insomma.  Qualcosa, pian piano, si muove.


Abbiamo avuto modo di condividere le nostre impressioni e sensazioni anche con Don Simon Kulli, amministratore della diocesi di Sape, che ci ha ricevuti l’ultimo giorno della nostra permanenza in Albania.
Don Simon, che conosce la realtà locale, ha tracciato bene il quadro della situazione generale  sottolineando come a questo punto il paese sia arrivato ad una svolta; per questo saranno importanti anche gli esiti delle prossime elezioni e la volontà comune di fare passi avanti.


Certo, la strada da percorrere è ancora lunga, ma qualcosa sta cambiando. Anche per lo stesso Don Simon, visto che nel frattempo è stato nominato Vescovo…





Laila, Giuseppe, Cristina, Paolo, Claudio
(genitori di Virginia, Francesca e Federica)

1 commento:

  1. Bellissimo leggere delle vostre esperienze in Albania. Io, a Scutari, trascorro molti mesi ogni anno dando una mano come volontario alla Associazione "Madonnina del Grappa". Qualche volta sono stato anche a Gomsiqe. Sono esperienze indimenticabili. Un augurio a voi tutte da Claudio.

    RispondiElimina